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Compendio di psicologia per gli operatori sociosanitari

Autore/i capitolo: Imbasciati A., Margiotta M.

Chi esercita una “professione di aiuto”, dall’assistente sociale al medico, all’educatore, all’insegnante, si sente tenuto ad avere competenze psicologiche. Ma tutti si credono un po’ psicologi. C’è infatti l’idea che con le buone intenzioni e l’esperienza si acquisiscano competenze psicologiche, e che la psicologia sia l’affinamento di una sensibilità umana.

Al contrario la Psicologia fa parte, oggi, della Scienza, ed anzi è un gruppo di scienze, ognuna specifica, con il proprio metodo, le proprie tecniche e i propri percorsi formativi. Come si acquisisce allora una dovuta formazione scientifica?

La laurea in Psicologia si costituisce come percorso centrale, ma competenze psicologiche vengono richieste a tutta una serie di operatori: medici, infermieri, fisioterapisti, educatori, assistenti sociali, ostetriche, e tutta una più larga gamma di operatori, della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione; ed anche dell’industria e delle organizzazioni.

Le lauree triennali, davvero numerose, che sono state istituite, e non solo nell’area sociosanitaria, contemplano ufficialmente nel loro piano di studi due o più insegnamenti di scienze psicologiche diverse. Tra queste spicca la Psicologia Clinica. A questa, soprattutto, si impronta il presente volume, tenendone presente l’applicatività, nei vari campi professionali: al contempo però fornendo una base di psicologia generale e di metodologia, affinché l’applicatività non corra il rischio, senza le dovute basi scientifiche, di diventare nozionismo superficiale. La psiche umana è complessa, non esistono “ricette” per intervenirvi: occorre una formazione di base, altrettanto complessa, per evitare le illusioni del senso comune.

Frutto di quatto anni di lavoro degli autori, e dei collaboratori nella Cattedra di Psicologia Clinica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Brescia, il volume si pone nel panorama nazionale come il primo testo esauriente dedicato alla formazione degli “operatori dell’aiuto”: per gli studenti delle varie lauree, ma anche e forse soprattutto per gli “operatori operanti”; testo per una formazione scientifica oggi insufficiente per chi si è formato nei pregressi ordinamenti. In quanto compendio di consultazione per un aggiornamento formativo, il volume è corredato di un dettagliato indice analitico tematico.

PRESENTAZIONE

Nel 1988 diventò esecutiva la riforma della Tab. XVIII, cioè dell’ordinamento degli studi della laurea in Medicina e Chirurgia. Fu l’inizio di un grosso mutamento, per quanto riguarda le scienze psicologiche in ambito medico, e dipoi sanitario, e rivoluzionario per quanto concerne la formazione dei medici, e progressivamente di tutti gli altri operatori della sanità. La riforma implicava il riconoscimento della necessità che i medici acquisissero specifiche competenze interpersonali, ovvero una formazione psicologica: la sua applicazione comportava un mutamento di notevole entità nell’ordinamento dei loro studi e della loro formazione, che si è esteso progressivamente dai medici a tutti gli altri operatori sanitari. Come tutti i cambiamenti, l’applicazione effettiva e efficace della riforma ha incontrato resistenze e difficoltà (Imbasciati, 1993), a tutt’oggi non ancora del tutto superate, tuttavia essa ha segnato, con tutti i successivi corrispondenti cambiamenti per gli altri operatori, il punto di arrivo di un precedente e poliedrico mutamento culturale, sociale e scientifico, che si è lentamente verificato nel campo della medicina e più in generale della sanità.
Molteplici fattori hanno concorso a generare questo mutamento. La medicina si è sviluppata suddividendosi in tante specializzazioni, che hanno parcellizzato la figura del medico onnicompetente (“il dottore”), e di conseguenza anche il paziente come persona: oggetto medico sono diventati i vari apparati del corpo umano, ognuno secondo una certa specializzazione, anziché l’organismo in toto e pertanto la persona; il progresso tecnico ha corroborato l’attenzione dell’operatore su singole parti del corpo o su uno specifico metodo di intervenirvi. Parallelamente si è sviluppata in senso sociale l’assistenza medica: questo però ha portato una inevitabile burocratizzazione dell’apparato assistenziale. L’uno e l’altro fattore hanno concorso a rendere il paziente sempre più anonimo, un insieme di oggetti inanimati sui quali intervenire con differenti tecniche, o una “pratica”: il paziente come persona è diventato un “caso”, un numero.
Questi inconvenienti sono stati avvertiti, denunciati, lamentati: ciò ha generato un movimento di opinione per un recupero della totalità del paziente e quindi della sua persona. La psicosomatica andava d’altra parte dimostrando quanto quest’ultima, nelle sue relazioni con i curanti, fosse rilevante nel determinismo biologico. Per contro le scienze psicologiche, negli anni ’50 e successivi, sono uscite dai laboratori, in un loro differenziato sviluppo applicativo, nel campo del lavoro, della scuola, e dell’intervento diretto sulle persone, onde migliorarne l’equilibrio e l’adattamento. È nata la Psicologia Clinica, come disciplina specifica per un intervento di recupero delle “persone”: sia dei pazienti, sia degli operatori, in quanto essi stessi persone umane che intervengono per l’aiuto ad altre persone.
Tutti questi poliedrici fattori hanno maturato la riforma degli ordinamenti medici, e poi sanitari, nel senso di introdurre la necessità di una formazione degli operatori per il recupero del paziente come persona. Si è parlato di umanizzazione della medicina: evidentemente si avvertiva che stava diventando disumana. Il termine umanizzazione si è prestato (e si presta) a qualche equivoco, nel senso di intenderla in senso poco scientifico, come in questo testo viene in dettaglio discusso, tuttavia l’introduzione di precise scienze psicologiche nei percorsi formativi ufficiali della sanità ha la possibilità di correggere tali misconoscimenti. Sul senso preciso di tali “scienze” si riscontra, anche qui, qualche equivoco, per lo più traducentesi in dubbi popolari, sulla loro scientificità, talora usati politicamente per mantenere lo statu quo. Un problema, qui a mio avviso non abbastanza rilevato, consiste nel fatto che gli aspetti più appariscentemente scientifici delle discipline psicologiche si presentano più ricorrentemente in laboratorio, anziché sul campo, cioè sulle persone: questa apparenza è in relazione con uno stereotipo popolare di scienza che, come tale, viene più facilmente riconosciuta nella psicologia sperimentale che in quella clinica. La definizione della Psicologia Clinica, e il suo statuto scientifico, sono stati laboriosi (cfr. capp. 1, 2, 4). Ma l’aspetto che in questa sede mi preme rilevare è che la Psicologia Clinica tout court, attende ancora di essere differenziata per le sue differenti applicazioni sanitarie. E così pure le altre scienze psicologiche, così come definite storicamente, non possono essere trasposte pari pari in campo sanitario. Occorre un loro sviluppo differenziato. Occorre pertanto una ricerca sul campo, di contenuti e di metodologia, e una ricerca della didattica relativa.
Tale differenziazione si rende ancor più necessaria in quanto lo sviluppo scientifico, organizzativo e sociale dell’assistenza medico-sanitaria ha reso indispensabile la creazione di figure professionali con competenze differenziate rispetto a quelle del medico, e relativamente indipendenti. Questi operatori non possono più essere concepiti come generici aiutanti del “dottore”, “paramedici”, come ancor oggi si usa dire con termine divenuto del tutto improprio, bensì come professionisti, nel cui curriculum formativo devono essere incluse competenze psicologiche, che però devono essere specifiche per ogni diverso tipo di operatore. Sociologia, economia, management, organizzazione si mescolano inoltre agli apporti psicologici, qualora si tratti dell’assistenza sanitaria, in un non semplice intreccio, qualora si voglia salvaguardare “la persona”.
Prima dei suaccennati mutamenti la medicina, concentrata sulla figura del medico, era rimasta per parecchie decadi del tutto staccata da una contemporanea evoluzione delle scienze psicologiche, che avveniva invece in altri ambiti, cioè negli Istituti di Psicologia delle Facoltà umanistiche (Imbasciati 1991a, b, 1993). Questa divaricazione, dalle molteplici radici storiche soprattutto italiane, aveva fatto sì che in ambito sanitario (meglio, per allora, è dire “medico”) rimanesse, ferma, una cultura psicologica quanto mai obsolescente. Ciò è stato consacrato dal fatto che fino al 1988 l’insegnamento psicologico nella formazione del medico era rimasto simbolico, anzi fittizio e progressivamente mistificatorio: fino a tal data vi fu infatti il cosiddetto “esame complementare”, di un’unica e generica “Psicologia”, che serviva, visto l’orientamento di allora, a prendere un bel voto senza aver studiato pressoché niente. Quanto in tal sede veniva formalmente indicato (direi solo consigliato) per studiare, era, impartito da docenti che psicologi non erano, limitato a poche nozioni, che potevano risalire agli Anni Venti o poco più dello sviluppo delle scienze psicologiche; condite semmai da studi posteriori di fisiologia neurosensoriale. Di conseguenza, generazioni di medici si sono affacciati alla ribalta, anche dirigenziale, della Sanità, non solo senza conoscere quanto in quelle decadi le scienze psicologiche avevano sviluppato (oltretutto differenziandosi dalla matrice originaria comune), ma con l’illusione, visto che avevano fatto un “certo esame”, di conoscere la “Psicologia”. In realtà quel che avevano, per così dire, conosciuto, era una visione superficiale, riduttivistica, obsoleta e talora impropria di questo ambito scientifico: di conseguenza la cultura psicologica in ambito medico diventò progressivamente mistificatoria (Imbasciati, 1984, 1990, 1991a, b, 1993, 1995a, b).
E a lungo nocque, alla Medicina stessa, immobilizzandola in una pseudocultura obsoleta, che la privava di competenze indispensabili e rese più cogenti dai mutamenti socioassistenziali. Finalmente avvenne la prima virata: la summenzionata riforma degli studi medici (1988) e le successive svolte fino ai giorni nostri. La prima, abolendo tutti gli esami complementari, istituiva nel percorso formativo del medico tre insegnamenti diversi e successivi, obbligatori: una “Psicologia Generale”, una “Psicologia Medica” e una “Psicologia Clinica”. Successivi aggiustamenti di questa riforma hanno permesso alle singole Facoltà di regolare al meglio differenti gradi di formazione psicologica per il medico. Parallelamente avveniva la differenziazione e la qualificazione di competenze di altri operatori, infermieri in primis. Vennero i primi “Diplomi Universitari” per qualificare questi operatori, ed infine le lauree brevi, che oggi contemplano oltre venti lauree diverse, per le diverse applicazioni operative all’area assistenziale. Tutte queste figure professionali hanno richiesto (ed hanno avuto sancito negli statuti) una formazione in determinate scienze psicologiche.
Ma quali? E impartite da chi? Questi due interrogativi, rivelatisi enormi, fanno sì che, a tutt’oggi, l’effettiva formazione che di fatto le attuali risorse universitarie consentono, non produca ciò che sulla carta è stato pensato e sancito. Le scienze psicologiche idonee all’area assistenziale-sanitaria devono ancora costituirsi con fisionomie precise, e differenziate da quelle discipline che nel frattempo hanno trovato la loro identità, nell’originaria partenza dagli istituti di psicologia sperimentale di facoltà umanistiche e poi a tutt’oggi nello specifico ambito delle Facoltà di Psicologia. Parallelamente, ma soprattutto, devono costituirsi docenti effettivamente competenti di tali costituende discipline. Qui la penuria delle risorse economiche a disposizione dell’università in questi ultimi anni, nonché la cultura psicologica obsoleta e mistificatoria che abbiamo menzionato, hanno sinergicamente giocato un ruolo molto pesante, nel senso di imporre di coprire, comunque sulla carta, la miriade di insegnamenti psicologici, che si erano dovuti istituire: si sono reclutati comunque docenti, a basso prezzo, precari, supplenti, talora impropri, col risultato purtroppo di un vero sottoprodotto di docenza. Soltanto poche facoltà sono sfuggite a questo destino, e già può essere considerato un discreto risultato se in alcune si è riusciti a ottenere una docenza frettolosa, anziché squalificata: frettolosa in quanto si è riusciti a mobilitare docenti qualificati, già in ruolo, ma sovraccaricandoli di tre, quattro, cinque e più corsi diversi, sicché essi sono stati “svolti”, ma per lo più “accorpati”, cioè senza tener conto che la medesima dizione disciplinare deve sortire programmi diversi a seconda delle differenti lauree. Conseguenza generale inevitabile è stata una pesante difficoltà a sviluppare una ricerca della didattica, necessaria per la definizione di scienze psicologiche idonee ad essere applicate all’area sociosanitaria e diverse tra di loro a seconda della laurea specifica.
Da quali “psicologie” già costituite si è dunque attinto, o si può attingere, per costituire le nuove scienze psicologiche sanitarie? Di fatto si è attinto dalla “Psicologia Generale” e dalla Psicologia Clinica: da quest’ultima radice, trasposta nell’ambito della vecchia cultura medica, sono derivati enormi equivoci, sul concetto di “clinico”, su cosa sia una psicologia che si possa o debba chiamare medica, e via dicendo. Equivoci che nel presente testo sono stati in dettaglio illustrati.
Ma anche nell’attingere alla Psicologia Generale si sono verificati e sono tuttora in atto equivoci e malaggiustamenti. Si è equivocata la Psicologia Generale come “psicologia in generale”, con il sottinteso stereotipo popolare di una psicologia fatta di consigli, prescrizioni comportamentali e ragionamenti del senso comune. Questo soprattutto con il concorso della cultura medica, come suddescritta, dei vertici organizzativi delle Facoltà mediche. Di conseguenza non si è curata poi più di tanto la selezione di docenti competenti. Questa, d’altra parte, subiva (e subisce) le grosse remore economiche che sono state indicate. Ma anche laddove ci si è potuto permettere di porre il problema in termini fattivi e scientifici, si presenta l’interrogativo di cosa proporre, per gli operatori sanitari, dell’ampio spettro contemplato dalla Psicologia Generale. Forse il metodo? Esso in effetti fa parte essenziale dell’insegnamento di base affidato a questa denominazione disciplinare, ma quanto la parte metodologica, con la sua complessità, può essere aggiunta al carico degli studi che già gli operatori sanitari sostengono? Inoltre tale base scaturisce, nella Psicologia Generale, dalla ricerca che viene (o è stata) condotta su specifiche aree, per esempio la percezione, l’apprendimento, il linguaggio, o da specifiche scuole, per esempio la Gestalt, il behaviorismo, o le varie scuole cognitivo-comportamentali. Quanto di questo può essere offerto, anziché “propinato”, per un’utile formazione degli operatori sociosanitari?
Insomma, a mio avviso deve essere definita una psicologia generale, scientifica, che sia specificamente indicata per la formazione degli operatori sanitari, o forse più psicologie generali, per i diversi operatori. Alla dizione Psicologia Generale si potrebbe aggiungere l’aggettivazione “sanitaria”, ma ciò potrebbe alimentare gli stereotipi tuttora imperanti che tale psicologia sia costituibile in modo puramente applicativo, come insieme di prescrizioni comportamentali per gli operatori, senza che a questi vengano fornite, sia le basi metodologiche (la cui conoscenza è indispensabile per evitare che le “ricette” vengano applicate secondo le distorsioni personali di ogni singolo operatore), sia un percorso strutturante, per una specifica e scientifica mentalità psicologica dell’operatore. Una effettiva “formazione”, e non semplici nozioni.
È questa una difficoltà rilevabile anche per la formazione degli stessi psicologi. A maggior ragione per gli operatori socio-sanitari, soprattutto delle lauree triennali. Occorre evitare una preparazione “tecnica”, che, senza le basi strutturali di una ben formata mentalità scientifica, viene inevitabilmente distorta, proprio nei risultati di quella applicatività che si intendeva privilegiare. Incorrono qui due grossi inconvenienti. Il primo è costituito dal fatto che alle lauree brevi accedono in larghissima misura gli studenti provenienti da quelle scuole secondarie (per es. Istituti Professionali) che più di altre (licei) hanno lasciato imponenti lacune (nel buonismo attuale si chiamano “debiti formativi”), oppure gli studenti più scadenti, che han ritenuto di iscriversi a lauree meno impegnative. Come è possibile dare a questi soggetti una base formativa che eviti che l’impronta tecnica delle loro lauree si traduca in una mistificazione del sapere psicologico?
L’altro inconveniente, non infrequentemente rilevabile, è costituito dal fatto che alcune strutture di personalità sono una controindicazione a fare l’operatore sociosanitario; alcuni soggetti sono strutturalmente incapaci di svolgere “professioni d’aiuto”. Ma di fatto persone di questo tipo si iscrivono ai corsi di laurea che abilitano a tali professioni. Si presentano allora due vie di rimedio, però non facilmente realizzabili. L’una è costituita dal “bocciare”, decisamente, questi soggetti. Ma è possibile, oggi nella nostra università italiana, bocciare? Ed ancor più è possibile, oggi nell’attuale struttura didattica, individuare tali soggetti? L’altra via è quella di introdurre percorsi formativi che incidano sulle strutture profonde di personalità. Di questo si parla diffusamente lungo il presente testo. Ma simili percorsi, personalizzati, sono tuttora difficili da realizzare, sia per i costi, sia per le resistenze delle Organizzazioni universitarie.

* * * *

Nel quadro suddescritto mi nacque l’idea, tra il ’98 e il ’99, di cimentarmi nell’impresa, da cui scaturisce questo libro, di costituire una psicologia sanitaria, differenziando le discipline psicologiche ufficialmente già costituite. Impresa rivelatasi progressivamente più ardua di quanto prevedevo. Di conseguenza penso che il risultato sia parziale, ma spero esemplare, nel tracciare una via che altri potranno sviluppare, sia nel senso di una ricerca della didattica, sia, soprattutto, nel promuovere percorsi formativi diversi da quelli tradizionalmente applicati nelle università italiane.
Il presente testo mi è nato dal trovarmi ad essere responsabile del reclutamento docenti, per le aree psicologiche, degli istituendi Diplomi Universitari, poi assorbiti dalle “Lauree Brevi”. Nei docenti che avevo selezionato (curriculum e colloquio) avevo avvertito un notevole entusiasmo, sia nei pochissimi già in posizioni (se non ruoli) universitari, che si sentivano attratti da queste nuove prospettive, sia nel più grande numero di docenti che da posizioni libero-professionali, o dai Servizi, si sentivano onorevolmente impegnati, sia pur in modo precario (che però si sperava provvisorio), in una impresa universitaria. In riunioni di gruppo per il coordinamento didattico, emerse subito il problema di come “comporre” un programma di insegnamento: quali contenuti, quale tipo di didattica, quali testi da indicare. Quest’ultimo problema, che di solito in sede universitaria è il meno difficile, si presentava, anch’esso, tutt’altro che facile. I pochi testi italiani sul mercato erano solo dei “bigini”, che riassumevano succintamente pochi elementi dei più tradizionali manuali Psicologa Generale, o di Psicologia Evolutiva e di Psicologia Dinamica, con frammiste nozioni mediche e biologiche. Ci voleva altro. Né i testi di altri paesi potevano addirsi alla situazione italiana. “Facciamo dispense”, si disse: e così si fece per un paio d’anni, raccogliendo delle sorta di antologie di articoli vari. Disomogenei, risultarono, ed inoltre gli stessi docenti avevano bisogno di documentarsi meglio. Nacque così l’idea di un lavoro più impegnativo, da fare in gruppo e a gruppi, documentandosi a fondo sulle questioni che riguardavano le professionalità in questione, per giungere a scrivere un libro. Ideai una prima scaletta di un testo, con l’impegno reciproco di riunioni di supervisione e di coordinamento. Riscossi più che numerose e entusiastiche adesioni, e nelle prime riunioni si compose un scaletta assai simile a quella attuale.
Ma sopravvennero difficoltà e delusioni. L’avvenire dei Diplomi Universitari si delineava senza che vi fosse provvedimento alcuno per l’organizzazione e le risorse, mentre gli insegnamenti andavano moltiplicandosi per la progressione degli anni di corso e per l’istituzione di nuovi corsi: ma senza alcun riconoscimento, giuridico o economico, neppure simbolico. La riforma universitaria che istituiva le “lauree brevi” sembrò preannunciare un miglioramento. Ma fu solo sulla carta. Nessuna risorsa venne data alle università. I docenti che vi erano impegnati fecero i loro conti: alcuni, talora i più validi, si ritirarono; altri si demotivarono all’impegno. Di conseguenza il gruppo dei docenti dei Diplomi non coincise più col gruppo di coloro che rimasero disponibili a lavorare per il volume. Per quest’ultimo rimasi con pochi. Con coloro i cui nomi sono restati in questo testo continuai l’opera sino alla fine, ma a costo di un progressivo accollarmi io il lavoro che credevo potesse essere svolto da loro. Per i capitoli in cui continuai una collaborazione feci più fatica che in quelli che mi presi a redigere in forma esclusiva. Forse, in parte, avevo sopravvalutato il loro impegno, trasportato anch’io dall’entusiasmo verso quello che si credeva uno sviluppo nuovo, e lodevole, delle facoltà di medicina italiane, verso una formazione psicologica degli operatori, ovvero verso un pieno e riconosciuto ingresso delle scienze psicologiche in un mondo che fino ad allora ne era rimasto chiuso.
L’istituzione dei Diplomi Universitari aveva aperto la prospettiva ad una differenziazione e qualificazione dei diversi operatori della sanità che fino ad allora erano rimasti in un ruolo tecnico poco qualificato, affidato a scuole ospedaliere, o private, cui si poteva accedere col diploma di scuola media. L’istituzione universitaria ne innalzava la soglia di accesso e prospettava una qualifica di rango superiore. Un parallelo mutamento culturale, sociale, e organizzativo qualificava peraltro queste figure come aventi una loro autonomia professionale e una loro più precisa fisionomia, e ne differenziava più figure. Così agli infermieri, ai fisioterapisti, alle ostetriche, ai tecnici di laboratorio, si affiancavano gli igienisti dentali, i logopedisti, gli ortottisti, i biotecnologi, gli assistenti sanitari, i tecnici per la prevenzione, i tecnici di radiologia, i riabilitatori psichiatrici, ed altri ancora, che avrebbero collaborato nei servizi con gli assistenti sociali, gli educatori (anch’essi inclusi nella sanità), gli psicologi, gli psichiatri e via dicendo. In altri termini la riqualifica di una serie di operatori, sociosanitari appunto, prospettava la necessità di approntare non solo un manuale per gli studenti universitari dei nuovi ordinamenti, ma anche uno strumento autodidattico, un compendio, per l’aggiornamento degli operatori già in servizio, per riallinearsi alla nuova linea dei nuovi diplomi. Di qui un mutato intento: dar corpo a un testo non semplicemente universitario, che accanto alla sistematicità potesse funzionare anche come opera di consultazione.
La prospettiva delle Lauree Brevi, in sostituzione e ampliamento dei Diplomi, sembrava convalidare la necessità di un impegno di ricerca, per la didattica e per una formazione aggiornata degli operatori. Ma le lauree brevi vennero “a costo zero”: spiego, per i profani, che ciò significò che tutte le università italiane istituirono ognuna decine di lauree diverse e supplementari a quelle tradizionali, con conseguente necessità di strutture e di docenti, senza avere nessuna risorsa economica. La si sperava, ma non venne: nessun ruolo di docenza è stato possibile istituire per gli insegnamenti (psicologici) specifici delle lauree brevi. Tutto è stato fatto sovraccaricando di plurimi incarichi i docenti di ruolo. La didattica universitaria italiana è piombata così, in toto, nel caos. In tale caos la mia Facoltà si trovò addirittura a sopprimere la mia funzione di referente per le scienze psicologiche e di selezionatore dei docenti precari (pagati oltretutto solo simbolicamente), perché tali funzioni comportavano laboriosità e tempi divenuti insostituibili nel sovraccarico sopraggiunto sulle spalle dei pochi docenti in ruolo.
Inevitabilmente tutti coloro che a vario titolo si erano impegnati nel nuovo sviluppo universitario, rividero ognuno le proprie posizioni, o quanto meno il proprio impegno. Il libro ovviamente ne risentì, anche per coloro che vollero rimanere a lavorarvi. Il testo comunque è stato finito, con ritardi, sostituendo io la mia opera diretta, invece della supervisione, al lavoro altrui: non senza incomprensioni da parte di chi credeva di aver iniziato un lavoro che presumeva poter finire da solo; e non senza discapito di quanto da me prodotto, e di maggiore laboriosità ove fu giocoforza proseguire in collaborazione.

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Il testo era stato concepito con due parti: nella prima si era inteso fornire una base, metodologica, di prospettiva generale e terminologica, che potesse servire a tutti gli operatori, nonché offrire un supporto alle lacune dei loro percorsi, come sopra delineato. Questa parte si è articolata nei primi sei capitoli. Una seconda parte avrebbe dovuto essere applicativa, specifica per le varie subaree sanitarie, e articolata in modo che ciascun differente operatore potesse attingervi differenziatamente. Le sottoaree avrebbero dovuto essere più numerose e più differenziate di quelle che si è riuscito a realizzare: ne sarebbe risultato un vero “trattato”, forse in più volumi. Ma sarebbe questo stato utile nell’attuale mentalità del panorama italiano? Ad una obbligata riduzione si è pensato potesse supplire una parte intermedia, ideata lungo l’iter di stesura, dedicata sostanzialmente all’osservazione, alle modalità con cui ogni singolo e differente operatore può “guardare” il suo specifico campo: e questo lo può fare avendo acquisito un assetto di base per questa osservazione, e cioè sapere “come funziona la mente”. Se una base generale è la conoscenza di “come si studia la mente” (come le diverse scienze psicologiche affrontano l’indagine scientifica), ovvero la conoscenza dell’articolazione metodologica e dei concetti e termini scientifici che vengono usati (onde evitare gli equivoci del linguaggio comune: vedi il nostro glossario), per una base clinico metodologica di chi a vario titolo osserverà il suo paziente, si è ritenuto indispensabile che l’osservazione fosse fondata su di un minimo di conoscenza di come oggi sappiamo che funziona la mente umana; con riferimento in primis a come funziona la mente dell’operatore, che osserva e, in conseguenza di ciò che ha creduto di osservare, interviene.
Di qui i capp. 7, 8, e 9, forse i più difficili di tutto il testo, ma a nostro avviso indispensabili affinché l’osservazione non si risolva in velleità ossessive; nonché a prevenzione che la terza parte, la specifica “psicologia sanitaria” (dal cap. 11 al 22), non si risolva in nozioni che possono correre il rischio di essere assorbite dallo spirito prescrittivo della cultura medicalista. Confidiamo di aver evitato questo rischio, corredando gli ultimi capitoli di spunti di riflessione, in richiamo alle prime due parti, nonché soprattutto con la nostra insistenza sui percorsi formativi non tradizionali, anche personali.
Ho infine pensato di fornire ogni capitolo di una previa scaletta, che dettagliatamente indicasse gli argomenti svolti sotto i titoli dei diversi paragrafi: ciò nell’intento di rendere il testo agile al ripasso di quanto letto, nonché alla consultazione, soprattutto per gli operatori già in servizio. In quest’ultimo intento è stato studiato e congegnato un indice analitico ragionato: non si tratta del solito elenco di parole (fatto soltanto col computer), ma di un elenco di collegamenti di concetti, come nella apposita legenda indicato.
Il testo non è ovviamente immune da difetti, e soprattutto potrà essere rilevata la mancanza di alcuni argomenti, importanti per la psicologia sanitaria; per esempio la prevenzione, gli anziani, o altro; non è stato possibile fare tutto, sia per le difficoltà descritte, sia anche per ragioni editoriali. Confido che altri sapranno sviluppare la strada che questo libro apre: è la prima trattazione, in Italia, che con un certo respiro affronti le problematiche aperte dall’evoluzione e dalla qualificazione psicosociale dei servizi assistenziali. Ai lettori e agli operatori pertanto il giudizio; e ad altri studiosi un auspicio. Nonché, ai politici e ai vertici delle Organizzazioni Sanitarie, un appello per rendere attuato ciò che sulla carta è stato statuito.

INDICE DETTAGLIATO

PARTE PRIMA
Come si studia la mente

Capitolo 1
Antonio Imbasciati
LE SCIENZE PSICOLOGICHE
1 Equivoci, fraintendimenti, riduzionismi: tutti si credono psicologi.
2 Fondazione scientifica e differenziazioni della psicologia: elenco discipline psicologiche e relativo oggetto.
3 Approccio metodologico e valore della teoria: specifico metodo specifica scienza; metodo e metodologia; oggetto, metodo, scoperte, invenzioni, teorie; i livelli della conoscenza scientifica; descrizione e spiegazione; teorie oggettivistiche e uso della soggettività.
4 Le teorie di personalità: costituzione, tratto, campo, funzionalismo, motivo, personologia.
5 L’oggettività nell’evoluzione delle scienze psicologiche e l’uso della soggettività come strumento oggettivante: l’addestramento della mente dell’operatore; il mito positivista.
6 Il metodo psicoanalitico e lo strumento della soggettività: la teoria energetico pulsionale; metodo, setting, training; Reich; Jung, Adler, Sullivan; teoria sistemica; il paziente designato.
7 Teorie oggettuali e sviluppo dello strumento relazionale: oggetto interno-seno; oggetto interno e oggetto reale; oggetto interno e rappresentazione; valore cognitivo degli oggetti interni; relazionalità dell’esperienza.
8 Oggettività diretta e sperimentazione per la comprensione dell’individuo: behaviorismo e suoi presupposti impliciti; condizionamento; cognitivismo; H.I.P.; teoria dei costrutti personali; conoscenza come trasformazione.
9 Psico-logia: pregiudizi e fraintendimenti in ambito sanitario.

Capitolo 2
Antonio Imbasciati, Marco Margiotta
METODO CLINICO E METODO SPERIMENTALE NEI GRANDI TEMI DELLA PSICOLOGIA
1 Metodo clinico e metodo sperimentale nelle scienze mediche e nelle scienze psicologiche: la diversificazione del concetto e del termine clinico nelle due aree del sapere; metodo clinico e relazionalità.
2 Strumenti e applicazioni: l’equipaggiamento interiore del clinico; colloquio/intervista; analisi della domanda.
3 Setting o inquadramento: spazi, tempi, ruoli, compiti; usi impropri del metodo clinico.
4 La psicometria: uso improprio dei test.
5 Gli studi sulla percezione: sensazione/recezione/percezione; la percezione come processo attivo di lettura delle afferenze; il realismo ingenuo; la percezione cosiddetta veridica.
6 L’oggetto percettivo: figura/sfondo; la Gestalt; il concetto di pregnanza; innatismo/empirismo nella percezione.
7 Percezione e metodo clinico: percezione e personalità; psicologia della testimonianza.
8 Gli studi sull’apprendimento: condizionamento, classico e operante; apprendimento per risposte combinate; apprendimento per insight; apprendimento per segnali; inibizione proattiva/retroattiva; transfer di apprendimento; apprendimento incidentale; motivazione.
9 La memoria: Ebbinghaus e i pregiudizi del senso comune; le strutture della memoria; H.I.P.; memoria e significato; memoria e consapevolezza; la continua trasformazione della memoria; memoria e sensorialità.
10 La traccia mnestica: memoria biochimica, permanente, RNA, DNA; trasmissione genetica della memoria: trasmissione della memoria genetica; assenza di memoria?; memoria e strutture protomentali.
11 Classificazioni della memoria: STM/LTM; rievocazione; riconoscimento; memoria implicita/esplicita; memoria dichiarativa; memoria episodica; memoria semantica; memoria di lavoro; memoria spaziale; memoria motoria; memoria procedurale; memoria procedurale interiore.
12 Memoria e affetti: l’affetto come memoria operativa.
13 Gli affetti: affetto, cognizione, consapevolezza.
14 Metodo clinico e metodo sperimentale nello studio dell’affettività: effetti somatici delle emozioni; regolazione delle emozioni e del comportamento: schema integrato; espressività e comunicazione.
15 La motivazione: motivi biologici, psicologici, sociali; elaborazione psichica; bisogno, desiderio e capacità metacognitive; affetti e motivazioni; interessi, intenzioni, obbiettivi, scopi; i sistemi motivazionali innati; le ricerche motivazionali.
16 La motricità: sviluppo psicomotorio e apprendimento; schema corporeo e Sé; prossemica.
17 Motricità e senso di realtà: afferenza/efferenza, senso del Sé, identità, realtà; costituzione motoria e funzioni mentali di base; prospettive di ricerche.

Capitolo 3
Antonio Imbasciati, Angelo Lascioli
QUESTIONI EPISTEMOLOGICHE
1 Epistemologia: scienza/conoscenza; ideale positivistico di scienza; explanans/explanandum; oggettivo/soggettivo; dato/mediato; scientificità della psicologia in quanto inerente al metodo.
2 I termini della psicologia: parole, concetti, sostanze; le parole non sono entità; utilità del modello epistemologico; verità/utilità.
3 Definizioni di alcuni termini di uso comune: differenza tra il linguaggio scientifico e l’uso popolare dei termini; glossario dei termini più ricorrenti.
4 Affetto, motivazione, intenzioni, e interessi consapevoli: reciproche connessioni.

Capitolo 4
Antonio Imbasciati, Angelo Lascioli
LA PSICOLOGIA CLINICA
1 Curare la mente: “clinico” in medicina e in psicologia; curare: prendersi cura; origini storiche; il “male psichico”.
2 La psicoanalisi come matrice metodologica della Psicologia Clinica: metodo indiziario; l’ascolto; tests proiettivi; libere associazioni, setting, transfert, controtransfert; resistenza; concetto di malattia arbitrariamente applicato alla mente; il male psichico come colpa che il soggetto avrebbe “potuto” evitare.
3 Psicologia Clinica, Psichiatria, Neurologia: il “guasto” al cervello; le mistificazioni; neurologizzazione della psichiatria; rinascita di una concezione mentale della sofferenza psichica; psichiatria dinamica e psichiatria organicista; sindrome o malattia?; la neuropsicologia; collaborazione psichiatra-psicologo.
4 Psicologia Clinica e Psicologia Medica: gli equivoci; psicologia medica centrata sull’operatore; controllo-qualità del prodotto medico; psicologia medica ed equivoci sull’umanizzazione della medicina; lo “psicologo medico”; psicologia medica e psicologia della salute; resistenze all’integrazione delle scienze medico-biologiche con quelle psicosociali; equivoci e resistenza alla collaborazione psicologo-medico.
5 Psicologia Clinica e Psicoterapie: clinica psicologica, psicologia clinica, psicoterapia e relativi equivoci.

Capitolo 5
Antonio Imbasciati, Marco Margiotta
PSICOANALISI E PSICOLOGIA CLINICA
1 Cos’è la psicoanalisi: stereotipi mistificatori della psicoanalisi; come si può imparare; sapere ultraspecialistico.
2 Chi è lo psicoanalista: abusi e attuale legislazione; non è l’oggetto che definisce una scienza.
3 Oggetto, metodo, scoperte e teorie: è il metodo che caratterizza una scienza; osservazione, descrizione, interpretazione, spiegazione; le teorie non sono né vere né false; la teoria pulsionale di Freud non è più congruente con le attuali scienze della mente.
4 Descrizione e spiegazione: il difetto epistemologico di Freud: l’ipostasi del vissuto; l’intento esplicativo di Freud e le metafore fisicaliste; trieb, drive, instinct.
5 Le scoperte che restano: validità del metodo; transfert, controtransfert, sessualità infantile.
6 Gli apporti della psicoanalisi alla psicologia clinica: ubiquità dei fenomeni transferali e controtransferali; equipaggiamento psicoanalitico; oggetti interni e fantasie.
7 Dagli affetti allo sviluppo cognitivo: la funzione materna; proiezione, evacuazione, pensabilità; oggetti transizionali e transizioni dal mondo interno alla conoscenza del reale; apprendere da l’esperienza: una nuova teoria generale della mente.
8 La psichiatria interpersonale: le psicoterapie tra psichiatria e psicologia clinica.

Capitolo 6
Antonio Imbasciati, Angelo Lascioli
LA PSICOPATOLOGIA
1 Pato-logia: equivoci terminologici e etimologici; il pathos come “male”; aggredire il male; curare o prendersi cura?
2 Patologia e normalità: il continuum; normalità e normatività; psicopatologia come guasto del cervello.
3 La psicopatologia: patologia dello psichico e psicologia del patologico; il “funzionamento mentale”; chi turba il disturbo?
4 La nosografia e le classificazioni: sindrome e malattia; a chi serve la classificazione.
5 La salute mentale: mens sana in corpore sano, corpus sanum in mente sana; ottimalità del concetto di salute.
6 Diagnosi e dia-gnosis: uso improprio dei modelli medici; inscindibilità della dia-gnosi e della terapia dalla relazione con un determinato operatore; competenze dell’operatore; la restituzione.
7 La negazione dello psichico: limiti della coscienza; negazione del male; passività del paziente; trascuranza del male psichico; prevenzione della sofferenza psichica; divenir consapevoli per guarire; supporto agli operatori esposti alla sofferenza latente.

PARTE SECONDA
Come funziona la mente che studia il comportamento e la mente

Capitolo 7
Pasquale Cirigliano, Cristiana Petizzi, Antonio Imbasciati
I LIMITI DELLA CONSAPEVOLEZZA
1 Di che cosa siamo consapevoli?
2 La mente osserva la mente: consapevolezza, relazione, memoria.
3 L’inconsapevole e le forme del pensiero: pensiero non verbale e consapevolezza.
4 Gli inganni della consapevolezza: attribuzione causale, motivazioni nell’attribuzione causale; influenza degli atteggiamenti; la dissonanza cognitiva.
5 Gli inganni degli affetti: emozioni, sentimenti, affetti come schemi cognitivi di base; linguaggio degli affetti e comunicazione non verbale; innamoramento, attrazione e la dimensione sessuale; consapevolezza e introspezione.
6 Che cosa governa la condotta dell’uomo? Persistenza delle illusioni: più forti o più deboli?
7 Consapevolezza e relazione paziente-operatore sanitario: illusioni, frustrazioni, proiezione del fallimento, aggressività, odio, masochismo, orgoglio; difese dell’operatore; formazione dell’operatore.

Capitolo 8
Anna Della Vedova, Antonio Imbasciati
LE ORIGINI DELLA MENTE
1 Costruzione della mente: concetto di maturazione; errato concetto di causa in psicopatologia.
2 Lo sviluppo psichico nella vita prenatale: fase embrionale; fase fetale; sviluppo sensoriale; memoria funzionale; sviluppo motorio; percezione e riconoscimento.
3 Continuità dello sviluppo dal feto al neonato: effetti somatici della relazione gestante-feto, madre-neonato.
4 Il rapporto madre-neonato e il primo anno di vita del bambino: le “cure materne” come trasmissione di messaggi che strutturano la mente del bimbo; specificità di ogni coppia caregiver-bimbo; capacità materne e funzione riflessiva; struttura inconscia del caregiver e trasmissione al bimbo; comunicazione madre-neonato e neonato-madre.
5 Le prime fasi dello sviluppo psichico: l’opera di M. Klein: oggetto interno buono e cattivo; la “scissione”; posizione schizoparanoide e funzionamento depressivo; invidia, avidità, gratitudine, riparazione.
6 Lo sviluppo psichico nell’opera di D. W. Winnicott: dipendenza, doppia dipendenza, “holding”, “handling”, “object presenting”, senso di sé, sé-corpo, me-not me; area transizionale, falso Sé.
7 Bion e l’origine del pensiero: “senza memoria e senza desiderio”; dalla sensorialità al pensiero; genesi del pensiero e della mente nella relazione; l’analista come caregiver; rêverie e restituzione; i pensieri abortiti; insegnare a pensare; il pensiero inconscio; il prototipo esemplare di rêverie (Fornari).
8 Gli stili di attaccamento: Bowlby; modelli operativi interni; attaccamento sicuro, ansioso-ambivalente, evitante; Ainsworth e la Strange Situation; attaccamento disorganizzato; attaccamento e schemi cognitivi.
9 Formazione della struttura psicosomatica del futuro individuo: l’insediamento della psiche nel corpo; McDougall; il corpo unico e la separazione; gli studi di Hofer; interazione madre-bambino e regolazioni biologiche; Kreisler: salute del lattante e disturbo della relazione con l’ambiente; Sifneos: alessitimia.
10 Relazioni precoci e origini della psicopatologia: intersoggettività e interazione tra struttura psichica dei genitori e temperamento del bambino, influenza della costellazione familiare di origine; dinamiche della comunicazione primaria: l’identificazione proiettiva normale e patologica; identificazione proiettiva esternalizzante, costrittiva e alienante; curare i genitori più che il bimbo.
11 Bambino, genitori, malattia e ospedale.

Capitolo 9
Antonio Imbasciati
UN MODELLO INTEGRATO DEL FUNZIONAMENTO MENTALE
1 Una non facile integrazione: definizione di mente e sua costruzione; irripetibilità della costruzione per ogni singolo; divaricazione tra psicoanalisi e cognitivismo; le differenze.
2 Il mito dell’Inconscio: “perché l’inconscio?” o “perché la coscienza?”; variabilità della coscienza; l’equivoco coscienzialista sugli affetti e la teoria energetico-pulsionale.
3 Teorie oggettuali: esperienza, non istinto: mutamenti del concetto di apprendimento.
4 Cognitivismo e psicoanalisi: piani cognitivi; azione, piano, elaborazione, lettura personale dell’esperienza; confusione tra rilievo clinico nella soggettività e inferenze sui processi psichici; l’essenza dello psichico è inconsapevole.
5 La coscienza: inconscio come insieme di processazioni in parallelo; coscienza come risultato variabile e non sempre presente di una processazione sequenziale; processazione sequenziale, coscienza, reti neurali; coscienza e qualità della relazione; sistemi motivazionali innati; le molteplici versioni di ciò che accade e l’evento “coscienza”.
6 “Perché l’inconscio?” o “Perché la coscienza?”: la “spiegazione freudiana”; il sorgere di una consapevolezza nel bimbo.
7 Rappresentazione e processi di simbolizzazione: revisione del concetto di rappresentazione, di simbolo, di oggetto interno.
8 La catena dei significanti: progressione dei simboli significanti e delle capacità di lettura; inconscio come simbolopoiesi; costruzione della mente; gli “engrammi”; come si forma la coscienza?; sua variabilità nel contesto interpersonale; possibili difetti nelle catene dei significanti, anziché rimozione.
9 Is Freud really dead?: cos’è l’affetto? Traccia mestica degli affetti; valore rappresentazionale degli oggetti interni; indebite inferenze a partire dalla coscienza; necessità di riformulare il concetto di affetto; conflitto o piuttosto deficit? Teoria morta e scienza viva.
10 La Teoria del Protomentale: costruzione e funzionamento della mente; input esterni e input prodotto internamente; processazione e fusione di input disparati nella lettura che avviene a livello primario; traccia mnestica degli affetti; traccia mnestica di qualunque funzione.
11 L’inconscio come simbolopiesi: rêvérie, restituzione e costruzione; la rete simbolopoietica; l’oggetto interno; engrammi ed affetti; autotomia piuttosto che genesi del pensiero; il pensiero genera ulteriori capacità di pensare.
12 Valore esplicativo della teoria: inconscio come insieme di tracce mestiche; la traccia come chiave esplicativa in luogo della pulsione; consustanzialità dell’inconscio col mentale; perché la coscienza? Resistenza come frattura nella progressione simbolopoietica; la permeabilità intrapsichica; l’analisi come costruzione di connessioni mancate.

Capitolo 10
A.V. Tiraboschi, Antonio Imbasciati
L’OSSERVAZIONE
1 Analisi etimologica: ob-servare.
2 Tipi di osservazione: diretta, indiretta, partecipante, sistematica; oggettività, oggettivazione, uso della soggettività.
3 Approcci metodologici: psicoanalitico, piagetiano, etologico, comportamentale.
4 L’Infant Observation e il suo contributo metodologico: formazione dell’osservatore.
5 L’osservatore: una presenza non indifferente: oltre le parole; vedere il non visto; soggettività e oggettivazione.
6 I rischi dell’osservazione: le trappole di aspettative e ricordi; le difese; le angosce; angosce e difese in supervisione.
7 L’osservazione: un percorso ad ostacoli; intolleranza all’ignoto; la pressione degli affetti; attendere e tollerare; illusioni e formazione.
8 L’osservazione nei contesti educativi: asili-nido, formazione, supervisione.
9 Un’esperienza di formazione per gli infermieri.

PARTE TERZA
Psico-Logia sociosanitaria

Capitolo 11
Alessandro Mahony, Antonio Imbasciati
NOZIONI DI PSICOSOMATICA
1 Psiche e soma: equivoci e pregiudizi.
2 La medicina psicosomatica: malattie psicosomatiche e cogenesi psichica di qualunque malattia; gli errori terapeutici.
3 Lo stress: distinzione tra sindrome individuale e stressors esogeni; lo stress come elaborazione mentale degli stressors.
4 Scelta d’organo / scelta della malattia.
5 Il comportamento di tipo A, B e C: malattie cardiovascolari/cancro.
6 Neuropsicofisiologia della regolazione psicosomatica: S.N.C./S.N.V; asse ipotalamo-ipofisario; schema dello psiche-soma.
7 Psicosomatica, cancro, AIDS: cancro, depressione, lutto; il sistema immunitario; schema delle interazioni psiche-soma-ambiente.
8 L’alessitimia: relazioni precoci madre/bambino e costruzione di funzioni mentali.
9 La regolazione madre-infante come matrice della struttura psicosomatica: comunicazione non verbale e corporea; fattori psicosociali.
10 Quali terapie? Difficoltà del paziente psicosomatico all’approccio psicoterapeutico; effetto placebo; psicoanalisi con variazioni; psicoterapie brevi; tecniche a mediazione corporea, orientali ed occidentali; ipnosi.
11 Medicina cinese e agopuntura: il mistero dei “meridiani”.

Capitolo 12
A. Mainardi, Antonio Imbasciati, Marco Margiotta
LE CAPACITA’ RELAZIONALI
1 Capacità relazionali e struttura di base dell’operatore: salute mentale dell’operatore e efficacia professionale; oggetti interni; capacità di osservare; il gruppo, l’organizzazione.
2 I contesti della comunicazione: comunicazione non verbale; sue quattro funzioni; canali di trasmissione; automatismi, non consapevolezza; mimica, gestualità, postura, prossemica, paralinguaggio.
3 Comunicazione e relazione nei contesti sanitari: formazione dell’operatore.
4 La morte e l’attivazione delle angosce di morte: angosce di morte nel bimbo e idea della morte nell’adulto; riattivazione delle angosce di morte nei pazienti e negli operatori; la relazione angosciosa e le difese; l’accanimento terapeutico.
5 Supporti agli operatori per il contenimento e l’elaborazione delle angosce: transfert e controtransfert; relazione operatore-utente e trasmissione reciproca di affetti; psicoanalisi e gruppi etero centrati (Balint); role-playing.
6 Gli effetti della relazione e della comunicazione sul piano somatico: effetto placebo; il medico come farmaco; somatizzazioni della comunicazione; l’operatore iatrogeno.
7 Azione terapeutica e agito pseudoterapeutico: salute mentale e capacità dell’operatore; formazione dell’operatore; iatrogenia e pseudoterapia; cura dell’operatore e cura dell’istituzione.

Capitolo 13
Antonio Imbasciati
LE PSICOTERAPIE
1 Psicoterapia, senso comune e cultura sanitaria: distinzione tra azione terapeutica e psicoterapia; psicoterapia e medici; regolamentazione; formazione; aspettative magiche.
2 Il caos delle psicoterapie: difficoltà dell’utenza; pudori e confusioni; a chi rivolgersi?
3 Origini e evoluzione delle psicoterapie: la psicoanalisi. Differenze tra psicoanalisi e psicoterapie analitiche; formazione degli psicoanalisti, l’I.P.A.; percorsi personali; filiazioni di formazione; psicoanalisi selvagge.
4 Le psicoterapie psicoanalitiche: formazione garantita da Associazioni; formazioni personali; mistificazioni in buona fede.
5 L’approccio cognitivo-comportamentale: behaviorismo, cognitivismo, terapie cognitivo comportamentali; costruttivismo.
6 Le scuole sistemiche.
7 Analisi transazionale e terapia della Gestalt: Berne, Perls, concezione organismica; ibridazioni con terapie corporee.
8 Le psicoterapie corporee: dal corpo alla mente; Reich; neoreichiani e corpo.
9 Altri approcci psicoterapeutici: Rogers, Maslow, May e la psicologia del senso comune; counseling; Adler; la Daseinanalyse; psicodramma; logoterapia; bio-feedback.
10 Presente e futuro: informazioni inadeguate; lo stato dei servizi; transgenerazionalità; il futuro della salute mentale.

Capitolo 14
Antonio Imbasciati, Lucia Pagliaini, Marco Margiotta
LA PSICOLOGIA SANITARIA
1 La relazione operatore-utente: comunicazione non verbale inconsapevole.
2 Differenze tra il ruolo del medico e quello degli altri operatori sanitari: medicina centrata sulla malattia, o sul dottore? Centrata sul paziente; condizionamento operato dal ruolo; gli infermieri.
3 Le professioni sanitarie della riabilitazione e della prevenzione: processi formativi personali, inconsueti alla tradizione medica, differenziati per ogni operatore, non confusi col ruolo dello psicologo; problemi organizzativi e politici; chi formerà i formatori? I fisioterapisti; i logopedisti; le ostetriche; gli assistenti sociali; gli educatori; medicalizzazione di professioni differenziate.
4 Psicologia medica o psicologia sanitaria: equivoci e fraintendimenti. Il concetto di clinico; Psicologia Medica centrata sugli operatori; formazione psicologica differenziata per i vari operatori; formazione e formatori.
5 Le angosce di morte: le radici primarie negli oggetti interni; attivazione automatica inconsapevole negli operatori; riparatività oppure difese antiprofessionali; necessità d’ausili per gli operatori; burnout.
6 L’operatore sanitario come modulatore di malattia: relazione, emozioni inconsce interpersonali, effetti psicosomatici; medicus ipse farmacum.
7 Psicologia medica centrata sull’operatore: equivoci rappresentazionali; ansie e difese dell’operatore; formazione permanente = psicoterapia; fantasie e timori inconsci nei confronti di una Psicologia Medica centrata sull’operatore.
8 Formazione e formazione permanente: formazione e struttura affettiva; gruppi eterocentrati.
9 Interventi formativi, resistenze e difficoltà; valutazione delle risorse, appello all’etica e istituzionalizzazione dell’ipocrisia; qualificazione del tempo-lavoro dedicato alla formazione.
10 Analisi dell’Organizzazione e intervento per l’istituzione: la scuola socioanalitica di Jacques; Istituzione e Organizzazione.
11 Comunicazione della diagnosi e consenso informato: organizzazione e istituzioni producono prassi ascientifiche disfunzionali al paziente; il consenso informato svuotato di significato.

Capitolo 15
Alberto Ghilardi, Antonio Imbasciati, V. Scala
LA PSICOLOGIA DELLA SALUTE
1 Modelli e orientamenti clinici nei problemi della salute: modello medico di prevenzione della malattia; modello psicosociale di promozione della salute.
2 Modelli teorici in Psicologia della Salute: medicina comportamentale, modello ABC; modello biopsicosociale; l’operatore come strumento.
3 Verso una Psicologa della salute: difficoltà a focalizzare la salute rispetto alla malattia; fattori ambientali e comportamentali di rischio per la salute; le motivazioni alla salute.
4 La qualità di vita: modello concettuale.
5 Ospedali e cura della salute: la comunicazione tra staff curante e pazienti: pedagogia della comunicazione verbale; stress e coping nei pazienti; stress degli operatori; strumenti di formazione.
6 Adherence o Compliance? Compliance e transitivismo; aderenza e comunicazione; locus of control.
7 Il ruolo dello psicologo nella comunicazione tra curanti e pazienti: fattori comunicazionali verbali e non verbali, inerenti al paziente, all’operatore, alla malattia, alla relazione e aderenza del paziente; lo “spazio” della comunicazione; difficoltà della cultura sanitaria attuale.
8 Lo stress: distinzione tra stressors e sindrome da stress; l’elaborazione psichica nella sindrome da stress; adattamento piuttosto che patologia.
9 Stress e lavoro: la sindrome del burn out: il burn out come sindrome collettiva; indici obbiettivi del burn out; alibi dell’Organizzazione di fronte al burn out.
10 Il burn out nelle professioni di aiuto: la relazione come stressor, il burn out in ambito sanitario; il lavoro emotivo come stressor.
11 Dinamiche collettive, Organizzazione e Psicologia della Salute: importanza dell’intervento nell’organizzazione; l’organizzazione come stressor; dinamiche collettive inconsce; organizzazione e istituzione; per una riorganizzazione della Psicologia della Salute.

Capitolo 16
Antonio Imbasciati
LE ISTITUZIONI SOCIOSANITARIE
1 I fattori psichici e sociali nella salute: la comunicazione interpersonale nel collettivo; le Organizzazioni; il “prodotto” delle organizzazioni sanitarie; fattori psichici nella salute.
2 Istituzioni e Organizzazioni: il pensiero inconscio dei collettivi; l’inconscio dell’Organizzazione; l’Organizzazione non serve agli utenti, ma agli operatori; analisi dell’Organizzazione e analisi dell’Istituzione; la resistenza al cambiamento; le angosce nei collettivi.
3 Le istituzioni sanitarie: gli studi di Jacques; metabolismo delle angosce e delle difese come struttura dell’Istituzione; l’Istituzione condiziona l’organizzazione; angosce di morte nelle Organizzazioni sanitarie: la morte psichica; curare l’Organizzazione curando l’Istituzione; angosce, Istituzione, burn-out.
4 Difese istituzionali e cultura medica: la malattia come nemico; accanimento terapeutico; ipomaniacalità verso il malato; oggettivismo come difesa, concretismo come negazione dello psichico e del relazionale; la corazza dell’operatore e il transitivismo; passivizzazione del malato; la distorsione del consenso informato.
5 Prospettive di intervento: la medicalizzazione; gruppi tipo Balint; formazione permanente; equivoci dell’umanizzazione della medicina.

Capitolo 17
Antonio Imbasciati
LA SESSUALITA’
1 Le “disfunzioni”: soggettività della valutazione del patologico; fisiologia o psicologia?
2 La sessualità è appresa: gli esperimenti degli Harlow; la sessualità come capacità, le ricerche di Stoller; l’identità sessuale.
3 Il piacere sessuale: emozione o sensorialità? Costruzione mentale di pseudosensorialità, costruzione percettiva dell’erotico.
4 L’attrazione: semiotica dell’attrazione; gli erotemi; bugia erotica e seduzione; memorie di creatività e piacere; sessualità e simbolopoiesi; il piacere come dialogo.
5 Psicoanalisi e sessualità: la teoria pulsionale come ipostasi del vissuto maschile.
6 La clinica sessuologica: aspettative dell’utenza e collusione degli operatori; il “sessuologo”; educazione sessuale per gli operatori.

Capitolo 18
Antonio Imbasciati
IL CORPO
1 Corpo e identità personale: leib e korper; la mente dal corpo e nel corpo; lo schema corporeo; la struttura psicosomatica; il corpo-mente nel benessere e nella malattia.
2 Il corpo che parla: la comunicazione corporea; alienazione del corpo; la bellezza; seduzione e potere.
3 L’ingiuria al corpo: ferite, malattie, vecchiaia; l’operatore e il proprio corpo; l’operatore e il corpokorper.
4 Quale corpo? Quale impatto? Quale messaggio non verbale passa al paziente? Transfert, controtransfert, agiti professionalizzati; formazione dell’”operatore corporeo”.

Capitolo 19
Antonio Imbasciati, Paola Manfredi
LA DONNA DALLA NASCITA ALLA VECCHIAIA
1 La differenziazione del genere nell’infanzia: studi di Stoller; trasmissione delle caratteristiche maschili e femminili in entrambi i sessi.
2 Psicosessualità e identità femminile: oggetti interni e metabolizzazione delle afferenze corporee; la modulazione relazionale.
3 Pubertà e menopausa: fantasmatizzazioni e relativo metabolismo, persecutorio o riparatorio.
4 Nel tempo della maturità: la gravidanza: perché un figlio?; angosce e riparazione; oggetto interno-bambino mostruoso.
5 Parto, puerperio, allattamento: angosce persecutorie e depressive nel parto; depressione puerperale; allattamento e rêverie; al seno o artificiale.
6 La coppia: il partner nel parto; l’unità diadica psicosomatica; la “membrana”.
7 La genitorialità: riattivazioni psichiche nel padre; inizi della funzione genitoriale nel bambino; i propri genitori per poter essere genitori; scenari narcisistici della genitorialità.
8 Sessuologia e psicosomatica ostetrico-ginecologica: frigidità; vaginismo; dispareunia; vulvodinia; pruriti genitali; iperdolorosità mestruali; infezioni vaginali; affezioni dermatologiche; sindromi mestruali; sterilità; disturbi della gestazione; distocie nel parto; allattamento.
9 L’operatore ostetrico: competenze relazionali dell’ostetrica e relativi misconoscimenti.

Capitolo 20
Chiara Buizza, Alberto Ghilardi
LA RIABILITAZIONE
1 La Riabilitazione – definizione e ambiti; menomazione, disabilità, handicap; attività, limitazione delle attività, partecipazione e restrizione nella partecipazione.
2 La Riabilitazione in medicina generale: progetto riabilitativo e programma riabilitativo; riabilitazione estensiva ed intensiva.
3 La Riabilitazione del paziente traumatizzato: fisioterapia e lavoro di rete.
4 La Riabilitazione in psichiatria: presa in carico, riabilitazione, trattamento; approccio bio-psico-sociale.
5 La Riabilitazione in età evolutiva: visione ecologica, approccio olistico, famiglia.
6 La Riabilitazione nella terza età: bisogni primari, malattie croniche, riorganizzazione di vita; medicina sul territorio e continuità di cure.
7 Deficit organico e deficit psicogeno: corpo, mondo emozionale, sofferenza psichica; malattie psicosomatiche e degenerative.
8 Il dilemma tra curare e guarire: il rapporto tra malattia cronica e riabilitazione; sconforto dell’operatore, famiglia, dimensione pre-verbale, famiglia, aspettative, fantasie.
9 Il lavoro di équipe in Riabilitazione: multidimensionalità, competenza, flessibilità; presa in carico globale.
10 Competenze interpersonali del Riabilitatore: formazione, competenze tecniche, processi comunicativi, emozioni, relazione; umanizzazione.

Capitolo 21
Alberto Ghilardi, Teresa Salvetti
I SERVIZI SOCIALI IN AREA SANITARIA
1 Basi legislative e principi ispiratori dei servizi sociali.
2 La classificazione dei servizi: servizi residenziali; disabilità; assistenza materno infantile; servizi territoriali.
3 Assetto istituzionale e gestione organizzativa dei servizi sociali in area sanitaria: ASL, Neuropsichiatria Infantile, Centri Psico Sociali, Servizi per le tossicodipendenze e alcoologia, Comuni e Comunità Montane, Associazioni di volontariato.
4 Breve profilo degli operatori – ruoli e compiti: psicologo, assistente sociale, educatore, assistente domiciliare.
5 Il lavoro di rete: un modello sociale per le professioni sanitarie.
6 Il vissuto del paziente: esiste ancora uno spazio per l’individuo?
7 Il vissuto delle famiglie: un ruolo scomodo e poco riconosciuto.
8 L’integrazione che cura: la segnalazione a un servizio sociale.
9 Elementi per un protocollo di invio al servizio sociale.
10 I termini di un cambiamento: analisi della domanda; imposizioni di pseudobisogni?

Capitolo 22
Giorgio Blandino
I SERVIZI SOCIALI IN AREA SANITARIA
1 Operatori sociali: capacità relazionali e formazione relazionale.
2 Il lavoro degli operatori sociali: lavoro relazionale-interpersonale; sofferenza mentale dell’utente e sofferenza dell’operatore, consapevoli e inconsce; il lavoro gestionale nella rete relazionale.
3 Le capacità relazionali: non si può non relazionare; non si possono acquisire capacità relazionali con modelli prescrittivo-razionali; la “mente” dell’OS; le capacità negative; apprendimento emotivo.
4 Modello organicista e modello relazionale: significati profondi della comunicazione interpersonale; la professionalità relazionale non è un dono di natura, né è acquisibile con modelli formativi medicalistici; saper ascoltare; tollerare il dolore mentale; il contatto con l’emotività propria e altrui.
5 L’organizzazione dei percorsi formativi: formazione affettiva; tipo di apprendimento; modello teorico; osservazione; supervisione.
6 Il ruolo del formatore: formazione del formatore; formazione in Università?

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