Il progresso della medicina ha tecnicizzato e parcellizzato in tante specializzazioni la professionalità del medico, cosicché egli non è oggi più in grado di esplicare la globalità di quell’operato curativo umano che in passato ha costituito il carisma della sua figura e che fece dire agli antichi medicus ipse farmacum. Il paziente sta diventando per il medico un pezzo di una macchina da riparare da parte del rispettivo specialista. Si parla oggi della necessità di riumanizzare la medicina e di demedicalizzare i servizi. A fronte di questo grosso evento scientifico e sociale, il legislatore sembra avere provveduto riqualificando altri operatori –si pensi soprattutto all’infermiere- e a istituirne molti altri, con differenti competenze. Sono state così costituite le ventidue lauree (oltre quelle tradizionali di medico e di odontoiatra), prima triennali e oggi quinquennali, che hanno ampliato e differenziato le competenze un tempo riunite nella figura del medico. In particolare si è inteso devolvere ad altri operatori le competenze e le mansioni tipicamente umane esplicate attraverso le capacità relazionali.
Psicologia Clinica e Neuroscienze hanno oggi dimostrato come la qualità della relazione dell’operatore con il paziente abbia un effetto (psicosomatico) sui processi biologici, che può essere
terapeutico così come invece
iatrogeno. L’elaborazione cognitivo-affettiva del cervello del paziente in relazione con l’operatore –le neuroscienze hanno messo in rilievo il dialogo non verbale inconsapevole dei due cervelli destri- modula infatti i di lui processi di malattia e di salute. La realizzazione di un
buon caring, anziché di un
asettico curing, non ha pertanto il semplice valore di dare soddisfazione al paziente, ma costituisce un
dovere terapeutico al pari di ogni altro sussidio che voglia essere curativo e preventivo.
Tutto ciò però non si è realizzato e l’istituzione che si voleva adeguare ha continuato a operare in senso contrario, secondo i più popolari
pregiudizi del medicalismo, come descritto nella precedente area. Per realizzare l’intento del legislatore sarebbe d’altra parte occorso provvedere a formare operatori adeguati: in ben tredici delle ventidue nuove lauree il legislatore ha introdotto nei curricula differenti discipline psicologiche, nonché sociologiche, antropologiche e pedagogiche. Ma l’intento legislativo cozza contro due potenti e concorrenti fattori avversi:
- conferire competenze relazionali implica incidere sulla formazione di quanto costituisce la struttura affettiva caratteriale dell’operatore: ciò comporta strumenti didattici del tutto inconsueti nell’accademia universitaria
- il secondo fattore avverso è costituito dalla carenza di docenti idonei, aggravata oggi dalla più generale carenza di risorse per l’università
I docenti oltretutto avrebbero dovuto avere il compito di costruire un corpus di discipline ognuna differenziata rispetto ad ogni diverso operatore, e diverse anche rispetto a quelle tradizionalmente insegnate. Per esempio la
Psicologia Clinica che necessita a gli psicologi, o quella opportuna per i medici, non può essere la stessa per i fisioterapisti, né esserne uguale a quella adatta alle ostetriche, o agli assistenti sanitari. Si imporrebbe una non indifferente
ricerca sulla didattica che necessiterebbe di docenti competenti e disponibili, mentre al contrario, per le difficoltà economiche, l’università è costretta a arruolare precari a malapena competenti di una generica psicologia; o di un altrettanto generica sociologia o pedagogia. Questo stato di cose rende impossibile l’applicazione di strumenti formativi diversi da quelli tradizionali. Così, purtroppo, i nostri “
operatori dell’aiuto” non hanno di fatto, né forse mai potranno avere, le
competenze per mettere in atto una relazione terapeutica, e neppure avere in chiaro in che consista la “relazione”, mentre l’organizzazione sanitaria continuerà ad esercitare effetti negativi.
Ci si preoccupa della Salute, ma a malapena si ottiene la sanità. Una effettiva ed efficace
Psicologia Clinica (ma anche questa la si fraintende: cfr.
Area 1) dovrebbe risultare dal concorrere di adeguate riforme, sia dell’attuale organizzazione sanitaria sia della formazione di tutti gli operatori che vi lavorano: Psicologia Sociale e delle Organizzazioni, dunque, e Psicologia Clinica, non fraintesa però in senso riduttivo e medico come cura dei casi etichettati come “psicopatologici”.
L’opera di Imbasciati e dei suoi collaboratori percorre un iter di pubblicazioni che va dall’esame del recepimento delle scienze psicologiche da parte della cultura sanitaria, fino alla stesura di trattati sulle competenze psicologiche necessarie ai vari operatori, e infine alle difficoltà ingravescenti di poterle costruire e conferire a tutti i nuovi “dottori” in psicologia.