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Psicologia Medica. Ambiguità dei medici italiani e fondazione scientifica della disciplina

Autore/i capitolo: Imbasciati A.

In un lontano luglio dell’anno 1961, mi laureai in medicina: in quell’epoca vi era in Italia un’unica Scuola, riconosciuta come “Specializzazione”, in Psicologia, presso l’Istituto che era stato di padre Gemelli, il più noto, in quel tempo ancora, per la ricerca scientifica nel campo specifico, soprattutto applicativo.

Feci così una scelta, quasi obbligata, che mi portò fuori dell’ambito medico: l’Istituto, e la Scuola, erano infatti incardinati nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano. D’altra parte erano proprio le facoltà umanistiche le sole, allora e per qualche lustro ancora, ove si coltivasse la psicologia. In facoltà umanistiche feci così i miei studi, le mie ricerche e la mia carriera universitaria, fino a diventare professore ordinario al Magistero di Torino nel 1975.

La mia originaria laurea in medicina, la mia predilezione per studi di Psicologia Clinica, la mia parallela formazione in un training psicoanalitico regolare (S.P.I. e I.P.A.), mi avevano lasciato nell’animo (più che nella testa) l’idea che, in una facoltà medica, uno psicologo, col tipo di formazione quale io avevo, avrebbe potuto lavorare meglio, soprattutto come ricerca scientifica, che presso le facoltà umanistiche. Speravo che avrei avuto più mezzi, e persone, visto che lo Stato italiano era sempre più tirchio con le facoltà umanistiche che con le altre, e visto anche che gli Istituti di psicologia, nel frattempo sbocciati in alcune facoltà mediche, apparivano prosperi, in linea con lo stile degli istituti medico-biologici.

Così tornai in Facoltà di Medicina, nel 1986, dopo venticinque anni dalla mia laurea originaria, con una identità di psicologo, più che di medico, ma con l’idea che fra i medici avrei potuto dare il meglio di ciò che sentivo poter fare.

Gli anni che seguirono furono per me una grossa delusione. Insegnare qualcosa di psicologia agli studenti di medicina era veramente duro; ancor più intendersi coi colleghi medici e far loro riconoscere il contributo della mia materia (nella quale peraltro la mia bibliografia dimostra lungo e continuato lavoro); ed arduo era in Facoltà lottare per un’equa distribuzione dei mezzi di ricerca a disposizione.

Il libro che qui presento è nato dal mio sforzo di superare gli handicap che ho riscontrato, per la psicologia, nell’ambito medico. Conforto, mi è stato, nell’impegno con cui credo si potranno superare tali handicap, la riforma degli studi medici. Come è noto, a partire dall’anno accademico 1989-90, gli studenti di medicina vengono preparati con un curriculum, di corsi e d’esami, tutto diverso dal precedente, chiamato la nuova Tabella XVIII. Questo ordinamento è giunto attualmente al quinto anno di corso delle facoltà. Tra le molteplici innovazioni, la più cospicua riguarda appunto l’area psicologica: mentre tutti i medici finora laureati in Italia non dovevano studiare materie psicologiche -al più era facoltativo inserire un “esamino complementare” di un’unica quanto genericamente denominata “Psicologia”- tutti i futuri medici avranno avuto, nel loro curriculum, una “Psicologia” (di base) studiata al primo anno, una “Psicologia Medica” al quarto anno e una “Psicologia Clinica” al quinto anno. Ovvero i futuri medici sapranno qualcosa, dell’area delle discipline psicologiche, di molto più consistente dei loro predecessori.

Ma l’attuazione di tale futura preparazione, reale e non solo sulla carta, sarà in Italia sotto l’ipoteca di molte mistificazioni. Per questo ho voluto scrivere questo libro. E, per evitare mistificazioni, ho cercato di mettere in piena luce gli equivoci del passato, che ipotecano presente e futuro. E qui ho dovuto mettere il dito sulla piaga: l’ignoranza e la misconoscenza dei medici circa il sapere psicologico.

La psicologia è stata conosciuta in Italia (come ho descritto in vari passi del libro), anziché nella veste scientifica delle sue diverse discipline, all’insegna di un miscuglio di senso comune, credenze popolari e notizie propalate dai mass-media. I medici hanno subìto questo clima italiano non confortati da nessuna preparazione scientifica nel curriculum dei loro studi. L’esserci stato nell’ordinamento universitario un esame complementare di “Psicologia” è stato peggio che se non ci fosse stato nulla, perché lo status giuridico della materia l’ha fatta conoscere in modo sbagliato, producendo non soltanto ignoranza, ma presunzione.

Questa impreparazione dei medici, effetto di una parallela cultura generale, è stata poi a sua volta causa sociale del perdurare di simile cultura mistificante, in un circuito vizioso di causa-effetto. Infatti i medici avrebbero dovuto essere i depositari di un sapere scientifico che contrastasse la mistificazione della cultura di massa, e la contrastasse con più autorevolezza di quanto non abbian potuto fare filosofi, letterati e pedagogisti; i quali, invero, in Italia sono stati gli unici, con tutti i loro difetti, a difendere e coltivare un sapere autentico di fronte al dilagare di pseudoconoscenze.

Un intento di questo libro è restituire ai medici, che verranno, un sapere che sarebbe stato loro dovuto, se avessero avuto un ordinamento di studi più oculato. In tale intento è giocoforza mettere in luce lo sfortunato aspetto della cultura medica italiana: necessariamente ho dovuto allora tratteggiare un quadro impietoso, e forse qualche medico si offenderà sentendosi dare dell’ignorante. Ma se avrà la pazienza di leggere attentamente tutto il libro, capirà che l’intenzione è proprio quella di rendere i medici più edotti e preparati. La consapevolezza della propria ignoranza è il primo passo verso la conoscenza, dice un vecchio aforisma.

Lo scopo del mio lavoro è inoltre la difesa del diritto del malato ad avere una classe medica più pronta ad assisterlo, domani, sul piano umano: su quel piano al cui proposito oggi tanto si lamenta la disumanizzazione e la spersonalizzazione del paziente, dovute alle tecnologie della medicina moderna e agli ordinamenti del nostro sistema sanitario. Un’assistenza umana, nella civiltà attuale, non può esser raggiunta sulla base soltanto dell’impegno etico e del buon senso: a fronte della tecnologia scientifica e delle regolamentazioni amministrativo-burocratiche, non può far argine l’appello a una generica sensibilità umana; occorre, invece, altra scienza, altre scienze, le scienze psicologiche appunto, che diano al medico un conforto scientifico di cui non può fare a meno. E che diano un apporto scientifico al tessuto socio-politico, affinché questo cambi al meglio la regolamentazione del sistema sanitario.

La Psicologia Medica dovrà diventare, non solo patrimonio del singolo medico, ma anche e soprattutto delle Istituzioni Sanitarie.

Questo libro, allora, se risulterà impietoso si da inquietar qualcuno -il collettivo, credo, più che il singolo- dovrebbe essere come un’operazione chirurgica, praticata sulla cultura medica italiana affinché essa possa rigenerarsi in modo più sano e più adeguato ai tempi.

Può darsi che questo libro muova obiezioni anche in qualche psicologo, che lo potrà trovare in alcuni passi ridondante e per talune affermazioni documentato soltanto in maniera sommaria: non è facile scrivere in un modo che risulti egualmente accetto sia agli psicologi che ai medici, e che sia accessibile agli studenti. Chiedo dunque venia a qualche lettore. Un intento di questo libro è anche quello di creare un ponte, e un’intesa, tra psicologi e medici: cosa non facile, ma indispensabile, a mio avviso per la cultura italiana, sia in sede scientifica, sia soprattutto applicativa assistenziale. Da quando gli psicologi sono entrati, in ruolo, nelle istituzioni sanitarie, la collaborazione tra medici e psicologi è stata prevalentemente equivoca e “spinosa”, per due difetti che si sono potenziati a vicenda: la misconoscenza dei medici circa il sapere psicologico e il fatto che gli psicologi italiani sono “nati male”, nella storia recente dell’Italia sessantottesca, e in una facoltà, quella di Magistero, da decenni posta in discussione; e oggi finalmente, anch’essa, riformata.

Quest’opera di collaborazione dovrà esercitarsi, non soltanto nella prassi assistenziale, ma prioritariamente, nell’attuale frangente storico, per una sana costituzione della Psicologia Medica. La riforma degli studi medici contempla tale disciplina, sulla carta, ma nella realtà essa è ancora tutta da costituire, in Italia, e c’è rischio che tale costituzione nasca malata; come ho delineato negli ultimi due capitoli di questo volume. Ho voluto pertanto chiudere questo libro con un appello, politico, a tutti gli psicologi, perché collaborino coi medici, che di psicologia ancor poco sanno, alla fondazione scientifica della Psicologia Medica italiana: a costituire quella disciplina psicologica che per eccellenza appartiene ai medici e non agli psicologi, e che però in Italia non esiste per le ragioni illustrate in questo volume, e che pertanto deve essere costruita partendo da zero, senza che nessuno, né medici né psicologi, l’abbia mai praticata. Occorre in altri termini un’opera di fondazione scientifica perché la Psicologia Medica italiana nasca di sana costituzione. Altrimenti la psicologia dei medici corre il serio rischio di rimanere malata, come lo è stata per decenni in Italia, e gli psicologi, liberati dalle remore della loro nascita un po’ bastarda ed ora preparati in cinque e più anni (tirocini e specializzazioni) da una Facoltà propria, non più ospite nella casa delle facoltà umanistiche, potranno, sì, trovarsi equipaggiati per molte difficoltà, ma non per quella di continuare a contrastare con medici che della psicologia hanno conoscenze sbagliate. Allora era meglio l’ignoranza; di tutti.

Dedicato agli studenti di medicina, perché siano medici migliori dei loro predecessori, questo libro è rivolto anche a questi ultimi, alla classe medica italiana, perché essa si possa modificare, e non solo per accogliere e ascoltare i medici che si laureeranno col nuovo ordinamento, man mano a partire dal ’94, ma perché essa possa orientare il sistema sanitario in modo che la Psicologia Medica non venga mistificata e i futuri medici non crescano in condizioni ancor più sfortunate di quelle dei vecchi.

(Dicembre 1992)

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