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Freud fondò la psicoanalisi oltre cento anni fa: fu l’invenzione di un metodo, che gli permise alcune scoperte, sulla natura della mente umana, inaudite per quell’epoca; intendeva fondare una nuova scienza che, come tutte le scienze, si sarebbe sviluppata.
Ma tutt’oggi a livello della cultura corrente si ha l’idea che la psicoanalisi sia la “teoria di Freud”, senza distinguere cosa entro l’enorme sua opera costituisca una teoria in senso proprio, e senza distinguere questa ”teoria” da una dottrina: statica dunque, e non un inizio di una scienza che come tale sarebbe nel tempo cambiata ed evoluta, come in realtà è avvenuto.
Di qui l’dea che tutto quello che affermò Freud sia da confermare: e conservare, quasi religiosamente. Queste idee operano tuttora sotterraneamente nella formazione dei molti che oggi fanno la professione dello psicoanalista o, con parole più sfumate, dello “psicoterapeuta psicoanalitico”.
Il testo che qui si presenta è frutto di una esperienza gruppale con una ventina di questi professionisti e rivela una grande disparità, di idee nebulose, spesso confuse, che si riflette nella pratica professionale, sotto la quale, inoltre, si riscontrano operanti pregiudizi tradizionali dei secoli passati sulla natura della mente, le sue origini e il suo funzionamento rispetto a un ben poco conosciuto “cervello”.
Vi sono oggi psicoanalisti che sono anche studiosi aggiornati e scienziati, ma sono ben poco identificabili nella imprecisa legislazione italiana circa le professioni; ammesso che questa potesse essere davvero, e non solo cartaceamente, applicata. Così, spesso, la psicoanalisi diventa una specie di romanzo: questo non toglie che qualcuno lo svolga bene ed anche che risulti benefico per chi lo attraversa.