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I pregiudizi sulla “mente”

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22 Ottobre 2022

Il pregiudizio è una sorta di convinzione intima, spesso inconsapevole, misconosciuta e talora esplicitamente negata dal soggetto, che si esprime, e si può intravedere nella sua condotta, nel modo di pensare e soprattutto di agire, spesso a dispetto di cognizioni conosciute contrarie a quanto invece detta e fa fare il pregiudizio.

Si tratta dunque di un inconscio particolare, molto tenace, di solito appoggiato a tradizioni sociali: si lascia smascherare da qualche osservazione, propria o altrui, ma solo a parole, o sotto forma di ragionamenti e propositi, in modo da far credere al soggetto di averlo eliminato, o neutralizzato, ma che poi riemerge in altri modi e occasioni.

Sulla “mente”, cioè su cosa si intenda con tale termine, sul concetto stesso di mente quale definito scientificamente, sono identificabili molti pregiudizi, che nella cultura corrente impediscono e distorcono riduttivamente ciò che si è appreso, ciò che di nuovo si potrebbe apprendere e ciò che si crede di aver appreso, che pertanto non risulta assimilato nel proprio pensiero e soprattutto nelle proprie condotte, private e sociali.

Ne descriviamo qui i più tenaci, mostrando un “falso” che essi insinuano nella mente delle persone che pure “non lo vogliono”. Tale modalità richiama la tenacia e la immodificabilità degli affetti primari, preverbali, del bambino che, anche se non possiamo ricordarli ed esprimerli negli anni successivi, condizionano e spesso governano la costruzione e la costituzione di una mente adulta.

1) La mia mente è ciò che in coscienza sento di essere e di pensare

La pretesa di essere padroni e consapevoli di quando crediamo di poter fare è uno dei pregiudizi più tenaci, e illusori, della nostra cultura. La mente è molto più vasta, sconosciuta e condizionante, rispetto a quello che si può sentire e pensare su sé stessi.

Questo pregiudizio si appoggia su una confusione generata da alcune lingue, tra le quali anche l’italiano, che usano la stessa parola, “coscienza”, per intendere due cose distinte: la coscienza morale e la consapevolezza di sé. L’inglese è più preciso e usa due termini distinti: conscience e consciousness. (cfr. Cambridge Dictionary, alla fine del post)

Coscienza morale vuol dire riuscire a essere sinceri con sé stessi e la propria condotta per rendersi conto della propria aderenza a norme riconosciute, quasi sempre anche nella collettività: ma questo dipende da quanto abbiamo consapevolezza di noi stessi, dato che quest’ultima, nell’esplorare la propria interiorità, è spesso ingannevole; come la psicoanalisi ha mostrato da un secolo.

Inoltre la nostra consciousness non è un on/off, ma ha molteplici variazioni e gradazioni, come si constata nella scala degli animali.

Il pregiudizio pertanto comporta una continua insinuante proposta di “falso” entro la mente. La tenacia di questo pregiudizio sembra basarsi sul sentimento preverbale del bambino che sperimenta di esser capace di tante progressive funzioni, ivi includendo quella che può insorgere quando comincia ad avvertire di essere capace di pensare: quando comincerà a parlare, parlerà in terza persona, ma finalmente dirà “Io”; trionfalmente, troppo!

2) La pregiudiziale questione del “libero arbitrio”

Radicata nel profondo semiconsapevole di tutti noi, come del resto codificata nella tradizione filosofica ispirata alla teologia cristiana, c’è l’idea che noi siamo “liberi” di determinare le nostre decisioni e azioni, e forse anche i propri pensieri.

Ecco quello che abbiamo chiamato “volontà”. Pertanto ci sentiamo responsabili delle azioni che compiamo nel corso della nostra vita. Il “falso” è l’insinuare, col primo pregiudizio, che il libero arbitrio non riguarda solo le azioni, ma anche il pensiero: possiamo (e dobbiamo) “scacciare i cattivi pensieri”; se crediamo di essere padroni della nostra mente.

La questione, in questi ultimi lustri, ha interessato anche le scienze psicologiche, con esperimenti clamorosi (Merciai, Cannella, 2009), che però non sembrano riscuotere unanimità: avremmo il potere di inibire le azioni, ma non di deciderle, in quanto la mente già da prima le avrebbe decise, autonomamente e noi avremmo il potere solo di eseguirle. Potremmo soltanto dire “Fermati!”

Ma i pensieri “vengono”, spesso sotto forma di sentimenti: e allora? C’è un terzo pregiudizio!

3) Le emozioni e gli affetti non hanno “peso”

Legato al precedente pregiudizio, permane nella nostra cultura l’idea che gli affetti —emozioni, sentimenti, passioni— non fanno propriamente parte della nostra “mente”: esistono, sì, dentro di noi (si lascia perdere il come!), ma sono come accessori, scomodi, che la mente deve controllare, governare e provare a eliminare; con impegno e “buona volontà”, come detta il pregiudizio precedente.

Nel medioevo gli affetti erano attribuiti alla “carne” (“affectio”, una affezione), quasi una malattia, rispetto alla “cognitio”, il “logos”, lo “spirito”, ovvero la mente vera e propria. Idee simili sono sottese tutt'oggi nella nostra cultura e servono a rafforzare l’idea, cioè un altro pregiudizio, che il corpo non ha niente a che fare con la mente, perché questa è di un’altra natura, o sostanza, di tipo spirituale, che peraltro si lascia nell’imprecisione.

+Dunque anche questo pregiudizio (col precedente e quelli che seguono) insinua in noi un “falso”, inducendoci a credere che tutto il mondo degli affetti conta poco, nella nostra vita: tutto il contrario di ciò che le scienze neuropsicologiche e sociali hanno da ormai da mezzo secolo dimostrato.

4) Il corpo è tutt’altra cosa rispetto alla mente ed è regolato dalla Natura tramite il cervello

È questo un pregiudizio, connesso al precedente, che serve a tener lontana l’idea che la mente, senza che lo si voglia e senza averne coscienza possa regolare le funzioni biologiche del corpo, tramite il cervello: il “falso” è credere che anche il cervello sia regolato dalla Natura e che ogni disfunzione, del corpo e del cervello stesso, e quindi della mente, sia provocata da qualche causa esterna ed estranea a ciò che si sente e crede come propria mente. È questa la concezione che denominiamo patologia.

In questo pregiudizio, del resto in vari modi declinato da parte di filosofi del passato, si è restii ad assimilare i dati scientifici che ci mostrano che il cervello non è affatto dato dalla Natura (che si suppone benigna), né è uguale per tutti (vedi “Nessuno ha un cervello uguale a quello di un altro”).

Il cervello è stato costruito dalle esperienze attraversate dal singolo, senza che se ne accorgesse, fin dalla sua primissima infanzia, anzi dall’età fetale. In questo pregiudizio si allontana, anzi si aliena da sé stessi l’enorme paura di qualunque imprevisto che, senza alcuna nostra possibilità di coscienza ma al contempo con il nostro coinvolgimento, ci può causare sofferenza e morte.

In questa serie di concatenati pregiudizi deriva l’idea che esista una “normalità”, naturale, e di qui il concetto di mente normale e di cervello normale, che non ha in realtà fondamento.

Questo pregiudizio serve a rinforzare il “falso” dei due precedenti pregiudizi, rafforzando l’idea che avremmo potuto far qualcosa, come detta la presunzione del pregiudizio nr. 1, se non ci fosse capitato addosso un certo malanno, una “patologia”.

Per evitare di accorgersi dei “falsi” insinuati dai pregiudizi, l’uomo negli ultimi due secoli ha inventato l’organizzazione della medicina e degli ospedali. Si è devoluta ogni eventualità inattesa alla cosiddetta scienza e relativa tecnica, che si pretende dover salvarci sempre, anche dalle angosce e dalla sofferenza che in realtà deriva da come ci siamo trovati ad essere costruiti; ognuno con la propria storia, non reversibile.

Per queste ragioni dovremmo, semmai, preoccuparci di curare meglio e in tempo i nostri piccoli, così come si insiste nei nostri libri e in questo stesso sito.

5) Patologia: l’estraneo cattivo

Per mantenere l’idea che la mente sia solo ciò che sento e di cui sono arbitro e padrone (libero arbitrio), se sopravviene una qualche sofferenza, che non voglio (ancora libero arbitrio) e non riesco a scacciare, la considero —il pregiudizio ce la fa credere— estranea a me stesso: il corpo è cosa del tutto diversa dalla mente! Ecco dunque che si crede che il “disturbante” viene da altrove; e con altri mezzi lo debellerò: la scienza, intendendo con tal nome soltanto le scienze medico-biologiche. Così “il cattivo” è la “malattia”, come estraneo che è sopravvenuto. Ecco la patologia. Il che può molte volte aver davvero causa esterna, ma c’è sempre, talora soltanto, l’azione della mente. Ricordiamo che il sistema immunitario dipende dal cervello.

Abbiamo poi dei corollari, a rafforzare i pregiudizi: c’è l’idea di una Natura in sé benigna, come una mamma buona, in sé “normale”.

6) Ma non esistono un “cervello normale”, né una mente normale, per natura, come dimostrato dalle neuroscienze.

Ogni essere umano si ritrova ad essere costruito, nel suo cervello e nella sua mente fin dall’età fetale e soprattutto nella sua prima infanzia, dalle relazioni con le persone che si sono occupate di lui, o l’hanno trascurato o abbandonato.

D’altra parte le esperienze che hanno costruito quel cervello, secondo le funzionalità delle reti neurali nel momento in cui sono accadute tali esperienze, non consistono negli eventi obbiettivi accaduti, quanto da come questi eventi sono stati elaborati dallo stato funzionale del cervello in quel momento.

Dunque si falsifica quanto le scienze neuropsicologiche ci han dimostrato. Con il “falso” di una scarsa o nulla importanza degli affetti per la mente si allontana l’idea che potrebbe emanare dalla smentita della presunzione onnipotente del primo pregiudizio.

In questo intrigo di pregiudizi potremmo dire “non disturbate il bambino che sogna di essere onnipotente”. A questo serve la confusione insita nei pregiudizi.

Si pensa infine che il nostro ricordare corrisponda a ciò che “sta” nel cervello. Ma…

7) La memoria non è mai ciò che ricordiamo

Ulteriore falso, inculcato dalla pretesa di poter controllare con consapevolezza e “conoscenza” la nostra mente, è costituito dal pensare che, se ciò che ricordiamo sta nel cervello, con questo dovremmo avere il potere di ricordare sempre: se la memoria è nel cervello, perché mai dimentichiamo le cose; in altre parole, perché non riusciamo a ricordare sempre?

La domanda viene allora lasciata in sospeso, in omaggio confuso agli altri pregiudizi

Nella confusione, anche terminologica, che comunemente si fa tra “memoria” e “ricordo”, si nasconde il fatto che non si riesce ad accettare fino in fondo il fatto che il cervello non dipende dalla nostra mente, che si pretende avere la cosiddetta volontà, ma viceversa: noi dipendiamo dal nostro cervello, così come esso si è venuto a costruire dalle nostre individuali vicende.

[ Post modificato il 02/12/2022 ]

Suggerimenti

  • François Ansermet, Pierre Magistretti, “A ciascuno il suo cervello. Plasticità neuronale e inconscio.”, Bollati Boringhieri, Torino 2008
  • Beatrice Cannella, Silvio A. Merciai, “La psicoanalisi nelle terre di confine. Tra psiche e cervello.”, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009

Vedi elenco mie pubblicazioni, n. 378 (in particolare, “Schema e descrizione”, Cap.2) e n. 377:

  1. [378] Imbasciati A., Cena L., Psicologia Clinica Perinatale baby centered, F. Angeli, Milano 2020
  2. [377] Imbasciati A., Bodybrainmind, Mimesis, Milano 2020

Conscience e Consciousness: cosa dice il Cambridge Dictionary
Conscience - "The part of you that judges how moral your own actions are and makes you feel guilty about bad things that you have done or things you feel responsible for."
Es. You didn't do anything wrong - you should have a clear conscience (= not feel guilty).

Consciousness - “The state of understanding and realizing something”, ma anche “The state of being awake, thinking and knowing what is happening around you.”
Es. Her consciousness of the feelings of others was the thing that made her a fantastic doctor.

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