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Il digitale fa male?

20 Dicembre 2022

La digitalizzazione dei rapporti umani ridurrà, comprometterà, le possibilità globali del cervello dell’homo sapiens?

È notizia di qualche mese fa che in alcune scuole secondarie sia stato vietato agli alunni di tenere il telefonino durante le ore di lezione. Il provvedimento appare ovvio e la sua più evidente ragione è impedire che il ragazzo non si preoccupi più di studiare, di imparare e di sapere, in quanto —per qualunque cosa che egli non sappia— il telefonino provvede una risposta. Con questa "sicurezza" val la pena di divertirsi invece che ascoltare l'insegnante, soprattutto se questi è mediocre o demotivato dalla situazione generale della scuola italiana.

Ovvio, giustificato, educativo appare il provvedimento, ma questo dovrebbe essere occasione per più generali e pesanti considerazioni, anche a lungo termine.

Linguaggio denotativo e linguaggio connotativo

L’uso del digitale, ormai ovunque, offre la precisione di un linguaggio denotativo verbale e scritto, ma taglia via e altera il linguaggio connotativo, la comunicazione non verbale, cui l’uomo è abituato da millenni e che viene data per scontata, al di sotto di un normale livello di coscienza e di attenzione. Il digitale permette un linguaggio visivo, il più spesso nei contatti amichevoli, ma anche questo viene alterato, depauperato del valore connotativo che avrebbe invece in un incontro faccia a faccia.

Viene soppresso il linguaggio corporeo del contatto e viene alterata cospicuamente la connotazione del linguaggio acustico non verbale; assolutamente soppresso ogni contatto olfattivo, che al di là di ogni coscienza sempre ha agito e tuttora agisce negli umani, malgrado la superba derisione che non conti per l’homo “sapiens”.

Come è contenta questa ragazza: si risparmia la fatica di imparare e di “pensare”

La relazione interpersonale nel periodo perinatale

Una gran messe di studi e ricerche degli ultimi settant’anni dimostra quanto sia importante, fondamentale per quello che ne può seguire, la relazione interpersonale —dunque comunicazione— nel periodo perinatale dei bambini, cioè dall’epoca fetale fino ai due anni di vita, nel periodo preverbale ed oltre, quando il linguaggio verbale è ancora rudimentale e si appoggia pertanto alla comunicazione non verbale.

Il tutto prima che prenda forma un sufficiente livello di coscienza. Gli studi in proposito mostrano come, a seguito di tali tipi di comunicazione inizi lo sviluppo delle reti neurali che permettono le prime funzioni mentali, ovviamente senza coscienza alcuna, e come queste prime funzioni neuromentali condizionino l’elaborazione delle successive esperienze, con un “effetto cascata”, e dunque i successivi apprendimenti di funzioni acquisite dal cervello. Di qui gli effetti su quanto si può inferire su tutto il successivo sviluppo mentale.

Sappiamo d’altra parte che queste prime funzionalità, che denominiamo affettive, sono quelle che restano, a condizionare il carattere, la “mentalità”, le capacità e attitudini della singola persona, e non sono affatto meno importanti di ciò che il cervello elabora come capacità cognitive, o meglio quegli aspetti della cognizione che vanno a costituire la cosiddetta intelligenza. L’intelligenza comprende anche l’uso di tutti i linguaggi connotativi.

Guardiamo al futuro: con preoccupazione?

Tutta la sopra descritta successione dello sviluppo dipende ovviamente dalle continue informazioni che giungono al cervello da tutti i sensori corporei, esterni e interni: quale sarà il cambiamento che può derivare dalle riduzioni e alterazioni dei vari ordini di informazione operate dal digitale? Queste vanno a condizionare la progressiva e continua strutturazione e costruzione del cervello.

Il cambiamento estremamente riduttivo operato dal digitale sulle afferenze, compensa la rapidità e disponibilità delle miriadi di informazioni che offre il digitale? Oppure potremmo prevedere che la digitalizzazione dei rapporti umani ridurrà le possibilità globali del cervello dell’homo sapiens?

Il cambiamento indotto dal digitale è riduttivo, non tanto per l'eliminazione di un linguaggio connotativo primario, acquisito dall'individuo, ma anche dal fatto che sul piano cognitivo e verbale offre risposte limitate rispetto alla molteplicità dei sensi possibili dell'uso di quelle parole in tutti i processi che comportano l'imparare.

In tal modo si induce l'abitudine che esista una risposta giusta e acquisita per sempre, ma questo non è vero apprendimento, inteso come sviluppo dell'intelligenza umana.

Per approfondire

Imbasciati A., Bodybrainmind, Mimesis, Milano 2020

Sull'olfatto: Carlo Cipolli e Igino Fagioli, "La percezione olfattiva: dalla psicofisica alla psicologia sociale" - Introduzione all'edizione italiana di Trygg Engen, "La percezione degli odori", Armando Editore Roma

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