Psicologia dei processi visivi
Lo studio della percezione visiva ha costituito da sempre uno dei riferimenti centrali nell’ambito della psicologia.
Ciò avvenuto sia dal punto di vista storico in quanto area di indagine privilegiata sin dal nascere della psicologia scientifica, sia dal punto di vista dell’importanza delle teorie interpretative proposte; importanza che ha determinato il configurarsi dei modelli anche nelle altre aree inerenti il funzionamento psichico.
A ciò va aggiunta la peculiare collocazione dell’oggetto di indagine della psicologia della visione, in quanto contemporaneamente interessata al momento neurofisiologico dell’elaborazione dell’informazione e a quello psicologico.
Questa possibilità di porre in relazione fenomeni biologici, psicologici e sociali e le relative discipline, diviene nodo centrale della discussione sui rapporti uomo-ambiente e quindi di una teoria della conoscenza. Tale consapevolezza “epistemica” è chiaramente presente nell’impostazione di fondo dell’opera di Purghé e Imbasciati, che si configura nella duplice veste di una esposizione problematica dei principali fatti della visione, ma anche come “possibilità didattica” di avviare e interessare allo studio dei medesimi.
La componente “epistemica” appare allora sin dall’inizio nell’intento non solo di suscitare curiosità nel giovane ricercatore, ma soprattutto nel procedimento di sradicamento progressivo nel lettore del realismo ingenuo: attraverso il superamento della credenza in una corrispondenza punto a punto tra mondo fisico e mondo percettivo e il sorgere di una consapevolezza strutturale-costruttiva.
Dalla prefazione di Marcello Cesa-Bianchi