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Nascita e costruzione della mente: la teoria del Protomentale

Autore/i capitolo: Imbasciati A.

La teoria freudiana ebbe grande successo perché sembrava offrire una spiegazione dello psichico partendo da ipotesi che apparivano in linea con le scienze dell’epoca: i concetti di libido, pulsione, energia psichica, scarica, istinto, principio economico e via dicendo, ricalcavano infatti principi scientifici e scoperte della neurofisiologia e della termodinamica di quel tempo. In tal quadro a lungo – a tutt’oggi negli stereotipi popolari – si è identificata la psicoanalisi con la teoria di Freud.

Quest’ultima tuttavia é stata ampiamente criticata, anche all’interno delle associazioni psicoanalitiche, e da non pochi decenni. Ciò malgrado la teoria freudiana sembra “resistere”. Una ragione di tale persistenza può essere a mio avviso individuata nel fatto che sono stati proposti volta a volta modelli psicoanalitici diversi, senza però che sia stata chiaramente delineata, a mio avviso, un’alternativa a quel valore esplicativo che l’originaria teoria freudiana possedeva: la teoria energetico pulsionale ha infatti un valore euristico, che ancor oggi conserva, e cioè serve alla comprensione degli affetti e dunque per la clinica; ma aveva anche un valore esplicativo, forse per Freud più pregnante del primo, ma che però oggi non può più essere sostenuto.

L’epistemologia moderna distingue, in ogni scienza, un livello di conoscenza descrittivo, uno interpretativo, ed uno esplicativo (Imbasciati, 1994). I primi due riguardano, in grado diverso, la comprensione (il “come”: “how” e “how well”) dei fenomeni osservati, mentre il terzo concerne la loro spiegazione (il “perché‚”: “why”). Quest’ultimo livello esige, molto più dei primi due, che la spiegazione sia in accordo con quella che viene raggiunta da altre scienze che si occupano, da altro vertice di osservazione, dei medesimi fenomeni. Freud, oltre che fornire una chiave descrittivo-interpretativa per la comprensione degli eventi psichici (che permettesse cioè di comprendere “dall’interno” la soggettività, e il suo evolversi), intendeva anche spiegarli, in un modo che potesse dirsi obbiettivo, in linea con le scoperte o per lo meno con le ipotesi delle altre scienze. Ciò fu ottenuto, appunto, con la teoria energetico-pulsionale, col riferimento all’istinto e ad una energia psicobiologica. Ciò era in linea con le scienze dell’epoca, in particolare con la neurofisiologia (modello dell’arco riflesso, della scarica elettrofisiologica, ecc.) e con la termodinamica di allora.

Tale accordo non è più attuale, rispetto alle odierne neuroscienze: non possiamo pertanto attribuire alla teoria energetico-pulsionale un valore esplicativo; anche se la si vuole conservare, intesa in senso metaforico, come modello (anziché‚ come teoria in senso proprio) di indubbio valore euristico per la clinica.

Tra le teorie innovative che si sono succedute negli sviluppi postfreudiani della psicoanalisi, grande rilievo hanno avuto quelle dette “oggettuali”, o “della relazione d’oggetto”. Queste teorie pongono l’accento, non tanto sulla spinta di forze endogene, quali fonte e origine dello sviluppo e del funzionamento psichico, quanto sull’esperienza relazionale dell’individuo, a partire da quella dei suoi primi anni di vita. Melanie Klein é considerata capostipite e fulcro di tale impostazione. Tuttavia le teorie oggettuali sono state elaborate ed usate per descrivere e comprendere il “come” si strutturi la psiche degli individui: ma il “perché‚” é stato, o accantonato, o rimandato alla tradizione freudiana, e cioè all’ipotesi di una “energia” che, modellata da certe “realtà”, dispiega una dinamica e una economia che portano alla struttura psichica del singolo.

Molti autori hanno sviluppato una teoria delle relazioni oggettuali trascurando, senza sconfessarlo, lo schema energetico-pulsionale: tutta la scuola inglese é in questa linea. Gli sviluppi della scuola di Bion, sottolineando l’apprendere da l’esperienza, sembrano sottintendere che lo strutturarsi della mente non necessiti di spinte endogene (Libido, pulsioni), ma avvenga per apprendimenti, le cui leggi non appaiono necessariamente legate al paradigma freudiano, né collocabili nel quadro della teoria energetico-pulsionale. Anche il concetto di aggressività, che nella Klein appare legato (a mio avviso solo formalmente) al concetto di istinto (di morte), viene successivamente svincolato dal paradigma istintuale (si veda l’opera di Money Kyrle, 1955, 1968), e nella scuola bioniana sostituito dal concetto di distruttività, che, scevro di connotati esplicativi (il “perché‚”), viene usato per descrivere una modalità relazionale (un “come”), ancorata al concetto di fantasia, anziché‚ a quello di pulsione.

Gli sviluppi delle teorie oggettuali hanno determinato notevoli divaricazioni in seno alla psicoanalisi, cosicché‚ molti autori hanno cercato di mettere insieme i due modelli, quello pulsionale e quello oggettuale: esempi tipici li troviamo nell’opera di Kohut (1971, 1977); conosciuti a questo proposito sono anche i lavori di Gedo (1973) e di Modell (1975). Altri autori, infine, si sono esplicitamente pronunciati contro le ipotesi energetico pulsionali sulle quali poggia gran parte dell’edificio teorico freudiano, e la metapsicologia in primis: si veda, a puro titolo esemplificativo, l’opera di George Klein (1976) e la rassegna del problema fatta da Eagle (1984).

Se si guarda alle teorie psicoanalitiche attuali, ci si trova di fronte ad una poliedricità e ad una diversità di modelli, concetti e termini, che ha fatto dubitare se si possa parlare di “una” psicoanalisi o di “più” psicoanalisi, tra di loro diverse (Wallerstein 1988). Molto ci si é interrogato su che cosa si intenda per psicoanalisi: una teoria? Una tecnica? Un’ermeneutica, se non un’arte? Oppure una scienza, e come tale caratterizzata da una omogeneità e coerenza di uno specifico metodo? E’ qui da ritrovare quel “common ground” di cui parla Wallerstein (1990)? Ma come definire tale metodo rispetto all’insieme, spesso intricato, di questa particolarissima scienza?

Nel complesso e poliedrico corpus freudiano c’è una sorta di collante, che sembra tenerlo insieme in nome della scientificità e che in passato ha costituito l’aspetto forse più rilevante nel confronto scientifico della psicoanalisi con le altre scienze. Si tratta di rilievo che Freud volle dare alla sua teoria della libido, con la relativa metapsicologia, e soprattutto alla concezione energetico-pulsionale della psiche, della sua origine e del suo sviluppo. Questa “teoria generale della mente” offriva non solo una descrizione dei processi psichici, ma anche una loro spiegazione e con tale valore esplicativo poneva la psicoanalisi al livello delle altre scienze di quell’epoca.

La teoria energetico-pulsionale elaborata da Freud ha così per decenni “tenuto insieme”, prima scientificamente (in quanto sintonica con le teorie scientifiche dell’epoca) e poi carismaticamente, la psicoanalisi. Le divergenze, tra gli anni trenta e i cinquanta, sono state in un certo modo camuffate (Greenberg, Mitchell, 1986). Con gli anni sessanta la “strega metapsicologia” viene radicalmente criticata (Fabozzi, Ortu, 1996) e da molti rigettata, in America soprattutto, ad opera di studiosi quali George Klein, Peterfreund, Gill, Rubinstein. Ai tentativi di conciliare insieme concezioni tra di loro molto diverse – vedi Kohut – succedono proposte alternative: di un certo interesse, per un principio in comune con la nostra teoria, é la proposta informatica di Peterfreund (1978). Le descrizioni freudiane dello sviluppo infantile vengono criticate come adultomorfe e patomorfe (Fossi, 1983) e quelle del mondo interiore come antropomorfe. Ciononostante per diversi altri decenni, e forse a tutt’oggi, la teoria pulsionale viene ritenuta valida da molti professionisti, anche se tale adesione rivela aspetti dottrinari, più che scientifici.

Il mantenimento di tale impianto di base, per di più complicato dai numerosi “distinguo” che esso ha subito nel tempo, nuoce, a mio avviso, oggi, alla psicoanalisi, in quanto focalizza la scientificità come inerente alla teoria e offusca l’effettivo valore scientifico della psicoanalisi: il suo metodo; inoltre esso collude con una condiscendenza, da parte degli analisti in nome di una pluralità tecnica, a una inadeguata distinzione e definizione di termini e concetti. Tra questi in primo luogo quello che concerne una effettiva “teoria” psicoanalitica.

Nell’ultimo mio testo (Nascita e Costruzione della Mente, 1998), unificando mie precedenti elaborazioni, ho voluto focalizzare l’insieme teorico che le ha sottese, delineando una teoria generale della mente che abbia un valore esplicativo circa le origini ed il funzionamento della psiche, ed al contempo serva per una più chiara distinzione di cosa si possa intendere in psicoanalisi per metodo e cosa invece per teoria. La mia teorizzazione presenta un quadro in linea con lo stato attuale delle scienze psicologiche e neuropsicologiche (e al contempo nell’alveo della psicoanalisi), e si propone pertanto come un’alternativa al valore esplicativo della teoria freudiana.

Si tratta dunque di una teoria psicoanalitica che possa “spiegare” lo sviluppo prescindendo dalle ipotesi energetico-pulsionali di Freud. Spero che questo non sollevi pregiudizi in qualche troppo ossequioso custode dell’ortodossia. La mia teoria ha d’altra parte l’intento di gettare un ponte tra la psicoanalisi e le altre scienze psicologiche, in particolare la psicologia cognitiva: ho usato per questo il termine “cognitivismo psicoanalitico”. E’ mia opinione che il metodo psicoanalitico abbia una sua esclusiva specificità, ma che una teoria psicoanalitica generale non possa sopravvivere senza integrarsi con le teorie della mente che provengono da scienze limitrofe.

La teoria che in questo testo ho cercato di sistematizzare (un suo primo abbozzo fu nel volume “Il Protomentale” del 1978) prende origine dalla considerazione dello sviluppo psichico come frutto di progressivi apprendimenti, ognuno dei quali condiziona la qualità del successivo, a partire dall’epoca fetale-neonatale.

Gli studi psicoanalitici degli ultimi decenni – in particolare i contributi neokleiniani, la scuola di Bion, quella di Winnicott l’opera della Bick e via dicendo- hanno dato enorme rilievo alle esperienze relazionali dei primi due anni di vita, quale fondamento, anzi fondazione, dell’intero sviluppo mentale, nella normalità piuttosto che nelle poliedriche patologie che riscontriamo nella clinica, sia infantile che degli adulti. Tali “esperienze”, o secondo la precisazione di Bion tale “apprendere dall’esperienza”, sono state descritte in termini eminentemente, se non quasi esclusivamente, affettivi, trascurando il fatto che, se si tratta di esperienze e dunque di apprendimenti, dovremmo poterli descrivere come tali, e cioè in termini cognitivi. Il che significa che dovremmo poterne parlare in termini di tracce mnestiche, di organizzazione sensoriale e percettiva, di rappresentazioni, di capacità di lettura e di riconoscimento e via dicendo. Nelle scuole psicoanalitiche che pongono l’accento sull’esperienza relazionale, ed in generale in tutte le teorie delle relazioni oggettuali, sembra tuttavia mancare una considerazione adeguata al fatto che “relazione” vuol dire esperienza, e dunque apprendimento. Manca cioè in psicoanalisi una teoria cognitivo-mnestica.

Questo vertice é stato invece ampiamente sviluppato dagli studi sperimentali, dalle scuole cognitiviste e dagli approcci integrati all’osservazione diretta del neonato e del bambino piccolo. Alcuni autori (potremmo menzionare Stern, Trevarthen, Bowlby, Lichtenberg) hanno cercato una integrazione tra il vertice cognitivo e quello psicoanalitico, con frutti fecondi per la clinica, nonché per lo sviluppo di teorie da affiancare a quelle della tradizione psicoanalitica. Sembra però a mio avviso trascurato il fatto che una tale integrazione – partendo dalla clinica- può portare, anziché a teorie da affiancare a quelle psicoanalitiche classiche, ad una teoria psicoanalitica integrata, che colmi il vuoto esplicativo lasciato dal tramonto della teoria energetica freudiana. Tale vuoto può essere a mio avviso colmato da una riconsiderazione degli studi sulle prime esperienze relazionali in termini di apprendimenti e di organizzazione mnestica delle tracce dell’esperienza.

E’ possibile in altri termini delineare una teoria psicoanalitica generale, di tipo semantico-mnestico, alla cui base il ruolo svolto nella teoria freudiana dal concetto di pulsione viene sostituito da quello relativo alla traccia mnestica. Lo psichico, e soprattutto la sua origine e il suo sviluppo, anziché essere “spiegato” come economia di energie pulsionali, può, molto più verosimilmente e in accordo con le neuroscienze attuali, essere spiegato come elaborazione di tracce mnestiche. Il valore esplicativo, che non può più essere accordato con la teoria pulsionale, in quanto l’ipotesi freudiana del supporto biochimico delle pulsioni (Freud, 1882-95 pg. 347; 1901, pg. 394 sg; 1905, pg. 479 sg, pg. 521 sg, pg. 524 sg; 1906 pg. 223 sg; 1914 pg. 448; 1915a, pg. 21; 1915b, pg. 478) non ha trovato riscontro, può essere di nuovo individuato nei fondamenti biochimici del metabolismo dell’RNA e del DNA che sta alla base delle elaborazioni e trasformazioni delle tracce mnestiche.

La Teoria del Protomentale é tuttavia psicoanalitica, anche se fa riferimento a supporti psicofisiologici: essa intende descrivere, nonché‚ spiegare, come i primi input afferenziali, nel neonato e ancor prima nel feto, possano organizzarsi a formare le prime strutture elaborative in grado di leggere e organizzare le successive afferenze, costituendole in tracce mnestiche; cosicché‚ queste possano entrare in funzione per le ulteriori letture e organizzazioni delle successive esperienze. Si tratta dal passaggio dal neurosensoriale allo psichico e pertanto alla possibilità di “apprendere dall’esperienza”. In questo quadro il punto di partenza é psicoanalitico: l’individuazione dei processi protomentali prende a primo riferimento gli eventi che gli studi psicoanalitici sui primi anni di vita del neonato e del bimbo hanno mostrato all’evidenza clinica, per ridescriverli in termini cognitivi, di elaborazione di tracce mnestiche per la costruzione di funzioni di lettura delle esperienze; in primis quelle relazionali. Tale ridescrizione, da un lato ci serve per la comprensione dei processi protocognitivi, dall’altro restituisce alla teoria psicoanalitica un nuovo valore esplicativo in accordo con le neuroscienze attuali.

Nel quadro che si delinea nel volume, gli “oggetti interni”, per esempio, quali considerati in termini affettivi dagli psicoanalisti, possono essere ripresi in termini di strutture cognitive primarie, da considerarsi pertanto come frutto di apprendimenti e di una particolare organizzazione delle tracce mnestiche. La relazione primaria madre-neonato può parimenti essere rivista come modulazione di reciproche comunicazioni (non verbali), che organizza le tracce mnestiche delle afferenze sensoriali in modo che esse si costituiscano come schemi operativi mentali, ovvero come strutture funzionali cognitive. Il “Protomentale” è allora l’insieme iniziale della costruzione del sistema funzionale che chiamiamo mente. Quanto finora è stato denominato “affetti” è dato dagli “effetti” più macroscopici delle operazioni protocognitive.

E ciò anche nell’adulto: il funzionamento affettivo è quanto rimane attivo, nel sistema maturo, delle operazioni mentali protocognitive. In questo quadro, per esempio, la situazione schizoparanoide e quella depressiva, la loro dialettica e la loro alternanza, sia nell’infante che nel funzionamento affettivo profondo (vedi l’oscillazione PS-D di Bion), possono essere ridescritte in termini di organizzazioni e riorganizzazioni di tracce mnestiche, a formare strutture funzionali -mentali- tra di loro intrecciate, integrate nelle apparenze della cognizione adulta e contrapposte nella dialettica degli affetti profondi.

Costruzione della mente é allora il formarsi, o meglio il costruirsi, di progressive capacità di operazioni cognitive, a partire da quelle protomentali: ogni prima costruzione condiziona la successiva utilizzazione dell’esperienza per la qualità delle costruzioni successive. Il problema rimane aperto quanto alla “nascita”. Ovvero, quando comincia l’organizzarsi una esperienza sensoriale in struttura protocognitiva? Se per apprendere occorre una struttura protocognitiva che sappia utilizzare l’esperienza, e se, perché‚ una tal struttura si costruisca, occorre un qualche apprendimento, dove, e quando e come, si comincia? Nel feto é la risposta. Ma qui siamo ancora nel buio; o per lo meno in una fitta nebbia che attende di essere rischiarata dalle future ricerche di molte e diverse scienze.

* Questo testo è stato tradotto in Argentina  (Nacimiento y construccion de la mente, Editorial Lumen, Buenos Aires, 2003) e in Portogallo (Nascimento e costruçao da mente, Climepsi, Lisboa, 2003). Una trattazione ampliata e aggiornata è stata successivamente pubblicata in inglese (Constructing a mind. A new basis for psychoanalytic Theory, Brunner Routledge, London, 2006).

Indice

Capitolo 1 – La mente e le sue origini
Cognizione, affettività, consapevolezza
I processi percettivi
Istinto e apprendimento
Esperienza e struttura biologica
Innato o acquisito? E quando?

Capitolo 2 – Una teoria esplicativa per la psicoanalisi
Descrizione, comprensione, spiegazione
L’intento esplicativo in psicoanalisi
Relazioni d’oggetto: come si originano le funzioni mentali?
Il sistema mente
Le strutture mentali primarie

Capitolo 3 – La mente come sistema informatico
Oggetto, stimolo, afferenza, percezione
Analisi della percezione
Percezione, rappresentazione, memoria e vissuti primari
Apprendimento e nascita del mentale
Apprendimento, rappresentazione e significatività dell’afferenza
La comunicazione primaria

Capitolo 4 – Afferenze, operazioni mentali, oggetti interni
Mente fetale e nascita
Tracce afferenziali e oggetti interni
Percezione, ricordo, immaginazione, allucinazione
Oggetti interni e esperienza corporea
Il “Seno”
Sofferenza ed esordi della mente

Capitolo 5 – I livelli delle operazioni protomentali
Esorcismo e autotomia
Il “Buono” e il “Cattivo”
Il “Dentro-Buono-Sé” e il “Cattivo-Fuori-non Sé
Operazioni mentali e verifica della realtà
Il principio del dispiacere
Soddisfacimento e intelligenza
Evitamento del dispiacere e conoscenza

Capitolo 6 – La posizione schizoparanoide
Operazioni mentali “sbagliate” e operazioni “esatte”
Meccanismi schizoidi e nascita della percezione
Le operazioni cognitive dell’invidia: l’attacco al pensiero
I circuiti paranoidi
Scissione proiettiva e percezione: il Sé percipiente

Capitolo 7 – Gli affetti come operazioni cognitive
Invidia e dipendenza
Seno buono e, capacità mnestiche
Pensiero e primo “Sé cattivo”
Scissione e idealizzazione

Capitolo 8 – Corporeità e modalità di pensiero
Sensorialità, engrammi e modalità operative della mente
Esperienza auditiva e esperienza visiva
L’esperienza della prensione
Dentizione e svezzamento
Dal corpo alla “fantasia”

Capitolo 9 – La posizione depressiva
Il senso di colpa
Colpa e protocolpa
Zone corporee e vissuti di colpa
Scissione-idealizzazione e negazione maniacale
La riparazione

Capitolo 10 – Riparazione e pensiero
Posizione depressiva e conoscenza
I processi di simbolizzazione
Funzione materna e simbolopoiesi
Imparare a pensare: il linguaggio della rèvérie
Affetto e pensiero tra figli e genitori

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