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Qual è il vero inconscio?

3 Luglio 2024

Credo che Freud non abbia scoperto l’inconscio, ma un metodo per potenziare la coscienza.

Un metodo per riuscire a eguagliare nella coscienza riflessiva la coscienza fenomenica. Ma il vero inconscio è negli affetti, e questi sono “indicibili”: se si cerca di descriverli in parole, non son più tali.

Si possono talora “esaminare” nei bambini, purtroppo solo cioè nei casi etichettati come patologici per qualche ragione. Uno sviluppo affettivo che di solito viene giudicato patologico è assai difficile da individuare da parte di un terapeuta esperto.

Un modo per poter individuare lo sviluppo patologico dal terapeuta è stato descritto da Wilfred Ruprecht Bion, psicoanalista britannico, nella la sua griglia.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6b/BionGrid.jpg

Occorrerebbe conoscere il loro sviluppo perinatale, ma qui c’è il grande equivoco sulla perinatalità: la si continua a considerare limitata a patologie “mediche”. Da non pochi anni nei miei libri specificamente intitolati alla perinatalità ho mostrato come questa vada considerata per tutti gli individui dal sesto mese del loro concepimento fino ai due/tre anni, nel dialogo, non verbale anche se pian piano vien mescolato a parole o meglio suoni, vocalizzi, con madre e care givers, e poi con tutti i familiari della propria storia individuale.

I pregiudizi sanitari sono tenacissimi. Si continua a fare psicoterapia secondo il canone sanitario: se compare nello sviluppo di un bambino una cosiddetta patologia. Si fa “clinica psicologica”, anziché “psicologia clinica”, come definì tanti anni fa Cesare Musatti.

E tutti oggi tutti gli psicologi si mettono a fare psicoterapia, inopinatamente. Le strutture affettive sono nascoste nel comportamento, e lì gli affetti restano inconsci; in quel che abbiamo chiamato carattere e temperamento, o sanitariamente “patologia”.

E in chi ebbe deficit o meglio traversie nella sua storia perinatale vieppiù restano inconsci, e negati se tentiamo di farglieli “capire”. Oppure sembra che abbiano capito, e lo affermano, ma poi si constata che in loro non è cambiato nulla più di tanto.

Si cerca oggi di modificare, aggiustare, le modalità con cui ci si accosta ai “pazienti”, modificando i modi con cui, usufruendo anche della psicoanalisi, si possa riuscire a cambiare in meglio l’assetto affettivo nascosto di tali persone. E questo in un modo nuovo di usufruire anche di quanto ci ha fornito l’apporto psicoanalitico.

Ma difficile è il nostro intervento. Il loro cervello, il loro “connectoma”, non permette più quel che vorremmo con la psicoterapia.

Credo che oggi il digitale, riducendo o sopprimendo le possibilità di dialoghi inconsci, cioè affettivi e comportamentali, stia “uccidendo l’inconscio”, quello “vero”, degli affetti, che restano indicibili.

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